THE DAVE BRUBECK QUARTET, Time Out (Columbia, 1959)

Questa meravigliosa perla musicale che riemerge dal passato, dall’ormai lontano 1959, merita decisamente spazio qui su Kalporz. Voglio parlarvi un attimo di “Time out”, superbo lavoro di un quartetto jazz il cui nome purtroppo non suona affatto familiare a molti: “The Dave Brubeck Quartet”. Ma se questa mitica band è ormai stata rimossa dalla memoria collettiva, come mai io, che non sono certo un esperto di questo settore musicale, la conosco e ne ho comprato il cd senza esitazione? Allora, dovete sapere che… c’era una volta un babbo (no, mi dispiace, non è Geppetto), Babbo Maurizio per la precisione, il quale nella seconda metà degli anni ’60, quando ancora era giovine e comprava i suoi bravi dischi 45 giri, decise un bel dì di acquistare un “hit” che alcuni anni prima aveva tanto inaspettatamente travolto le classifiche americane e che si stava ora rivelando di non minor successo anche in Italia: “Take Five”. Comprò dunque per due soldi quella pizzetta in vinile che tanto avrebbe amato e ascoltato (come ancora racconta il fruscio dei suoi solchi consumati). Poi passarono gli anni, i suoi dischi rimasero in un cantuccio per un bel pezzo, ma Babbo Maurizio intanto mise su famiglia. Passan altri anni finchè un frugoletto ormai cresciutello non vi mise mano tutto curioso.

Da allora ogni tanto mi metto a rovistare in mezzo a quei cimeli musicali della scorsa generazione e mai senza trovarci qualcosa di buffo, interessante o addirittura travolgente. E’ per questo che avevo ben impresso nella memoria il nome del gruppo: per averlo letto sulla copertina di quell’antico acquisto paterno e non certo perchè vengano ad esso tributati i debiti onori dalle radio di oggi, troppo impegnate a pompare la merce musicale del momento (spesso dell’attimo), per concedersi qualche revival di prestigio. Fortunatamente di recente la Columbia ha curato una rimasterizzazione dell’album “Time out” (che ovviamente include anche la più famosa “Take five”), uscita con tanto di bel libretto storico-fotografico. Oltretutto lo si trova nei negozi ad un prezzo equivalente alla metà dei prezzi pieni.

Non vi sto a descrivere le sonorità dei vari pezzi per due buoni motivi: uno sono assolutamente inenarrabili, e due vi toglierei quel poco di curiosità che potrebbe avervi assalito. Approfitto però per dirvi che si sente eccome che Eugene Wright sta usando un contrabbasso dall’imponente cassa di risonanza, e che Dave Brubeck sta martellando le sue dita sulla tastiera di un pianoforte anziché di un freddo sintetizzatore. C’è la sua bella differenza.

Va be’, per chi stesse ancora leggendo arriva ora la mazzata finale: la morale spicciola che c’è in ogni favola. Dovete sapere che non ci son al mondo due persone dai gusti musicali più divergenti di me e mio padre. Lui ha poi delle preferenze alquanto restrittive e divide i gruppi rock in tre categorie:
1) Coloro che letteralmente percuotono come forsennati i piatti delle batterie. Questa classe comprende tutte le canzoni che abbiano un minimo di ritmo;.
2) i Beatles, unica vera grande eccezione, riescono a fare del rock non baccanoso (e forse possono essere tollerati nel loro limbo anche i Dire Straits, anch’essi molto melodici);
3) le lagne: tutto ciò che abbia una melodia troppo lenta, per quanto suggestiva possa essere, finisce per venir bollato da tale epiteto poco lusinghiero.

Capirete bene dunque come siano ben scarsi e rari i punti di contatto in tema di note tra le due generazioni (classica a parte). Eppure… Eppure ancora una volta la musica si è rivelata uno stupendo tramite per poter provare le stesse emozioni coinvolgendo più persone sul piano del medesimo sentimento. Questa specie di miracolo l’ha compiuto il cd in questione: io e Maurizio l’abbiamo ascoltato insieme e insieme ci siamo commossi per sonorità toccanti. In tutti i tempi, passati e futuri.

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