ÉLIANE RADIGUE, “Occam XXV” (Organ Reframed, 2022)

Se vi siete mai fermati ad osservare da vicino un qualsiasi lavoro tessile avrete sicuramente notato come, visti da vicino, i filamenti del tessuto disegnino trame e arabeschi di sottile finezza. Lo stesso può dirsi della musica: se suoniamo una nota e la lasciamo spargersi nell’aria, ci accorgiamo di come in realtà questa sia un prezioso contenitore di armonici, veri filamenti del suono.

Pochi hanno approfondito questa fondamentale impressione acustica come Éliane Radigue, compositrice francese che si è inabissata nello studio del suono nel corso di più decenni: prima come allieva presso lo Studio D’Essai di Parigi, ex luogo d’elezione della Resistenza francese che poi nell’immediato dopoguerra divenne sia il centro radio nazionale sia il laboratorio di musica elettroacustica e concreta dei pionieri Pierre Schaeffer e Pierre Henry; poi come precursore dello studio del tape feedback, ed infine fu una delle voci di punta dell’elettronica sperimentale degli anni ‘70 grazie alle sue composizioni per il suo sintetizzatore modulare ARP 2500, da lei teneramente battezzato con il nome di Jules. 

Oggi Éliane è una fresca novantenne che vive in un appartamento a Montparnasse e che da almeno dieci anni ha scoperto la via per la sua quarta vita musicale, iniziata con il ciclo di opere dedicato ai soli strumenti acustici chiamato “Occam Ocean”. La Radigue scrive con in mente uno strumento in particolare e un particolare esecutore; invita quest’ultimo nel suo appartamento, i due si annusano un po’ e, se si piacciono, inizia il lavoro tête-à-tête.  

“Occam XXV” é una composizione per organo e vede come esecutore l’organista francese Frédéric Blondy. Lo strumento é qui del tutto spogliato da ogni sacrale maestosità passata, rendendosi protagonista di quella che sembra una glaciale stasi, ma che in realtà, pur nella sua spoglia struttura, è una lenta ma costante emersione da nebbie fosche e umide fino a divenire ineffabile volo. Se ascoltato con orecchio ricettivo e non solo pigramente adagiato, da un lato si nota come all’interno del bordone timbrico che compone il brano si nascondono pulsioni ritmiche minime, armonici svolazzanti e preziosi subarmonici che costituiscono il movimento d’onda delle singole note e che sono la vera vegetazione sottomarina di questo superficialmente placido lago sonoro; dall’altro, come si disegni pian piano una progressione melodica di minuziosa indolenza musicale che, con saggia calma, arriva a lambire passaggi di bellezza concretamente pura. Solo così si riesce, pur con fatica, a descrivere come in questi quarantacinque minuti si passi in maniera quasi impercettibile dalle profondità timbrico-oceaniche della prima parte fino alle ascensioni sonore del finale; e in questo viaggio nell’insondabile, l’organo si trasfigura sembrando tanto un sintetizzatore gorgogliante quanto una sezione d’archi dai timbri acutissimi. Un’ascesa di vibrazioni sfumate marcatamente con il suono che, una volta arrivato in vetta, trascende a se stesso divenendo silenzio. 

Come una passeggiata sovrappensiero, in cui solo nel momento in cui riacquistiamo il senso della realtà ci accorgiamo di dove siamo arrivati, “Occam XXV” è il rumore di piccoli passi su un sentiero acustico di misteriosa pienezza, che sfida anche la forma totalmente inespressiva in cui viene presentato. Uno dei lavori maggiori di una compositrice che ha vissuto per una vita nell’unico elemento fondamentale della musica: il puro suono.

82/100

(Edoardo Maggiolo)