FATHER JOHN MISTY, “Chloe And The Next 20th Century” (Sub Pop/Bella Union, 2022)

Non è una vera e propria svolta questa qui di Josh Tillmann aka Father John Misty. “Chloe and the Next 20th Century” è un album di musica pop che potremmo definire tradizionale, classy, un disco ricco di arrangiamenti orchestrali e sfumature jazz e dove ovviamente abbonda il numero dei collaboratori, a partire, ca va sans dire, dal solito fedelissimo Jonathan Wilson. Ma non è una “svolta” perché – a parte che tutti questi elementi non mancano del tutto nei lavori precedenti – tutto viene in ogni caso condito, se non messo letteralmente al servizio di una certa teatralità e una gigioneria che al musicista e cantautore originario di Rockville, Maryland, non è mai mancata.

Potremmo anzi benissimo dire che questa tensione al melodramma sia una delle caratteristiche principali di Father John Misty e da questo punto di vista volere proporre “Chloe and the Next 20th Century” come qualche cosa di nuovo è una ennesima gigantesca burla. È una presa in giro. Solo che lui lo sa e lo sappiamo anche noi. Sin dalla copertina (ovviamente questa volta in bianco e nero) si propongono, allo stesso modo, vecchie perplessità. Dove finisce l’artista e comincia la recita? Ammesso che le due cose siano separate una dall’altra. È innegabile – diciamolo – che a un certo punto poi questa sua teatralità risulti francamente insopportabile. Leggevo l’altro giorno uno dei miei contatti social che commentava “Kiss Me (I Loved You)” – una delle canzoni del disco – dicendo che avrebbe preso Josh a schiaffi per l’effetto usato per le voci e mi sento di condividere in pieno questo giudizio. Che poi fa scelte discutibili dello stesso tipo anche altrove. Ad esempio su “Buddy’s Rendezvous”. Poi sono due pezzi diversi, sicuramente più pop il primo, più devozionale il secondo. Si punta in ogni caso sempre a commuovere l’ascoltatore – vedi anche “Funny Girl”, “The Next 20th Century”… – magari anche a colpi di una improbabile bossa nova (“Olvidado”) – oppure lo si prova a stupire con i pezzi più andanti come “Chloe”, “Q4”, gli arrangiamenti tipo carillon di “(Everything But) Her Love”, “Only A Fool” e “We Could Be Strangers”, pezzo che ha una evidente eco beatlesiana e che considero tra quelli meglio riusciti del disco.

Sono numeri da circo. Da vero istrione. Ma sarebbe scorretto ovviamente parlare di un completo disastro: Tillman si è oramai calato appieno in questa sua dimensione da crooner con pose da divo hollywoodiano. La cosa sembra funzionare per quelli che sono i feedback del pubblico e della critica, ma artisticamente e comunque da ascoltare la cosa non mi entusiasma. Qualche traccia è più interessante di altre e su questo non ci sono dubbi: ho già menzionato “We Could Be Strangers”; “Goodbye Mr. Blue” mette assieme “Everybody's Talking” di Harry Nilsson e “Sunday Morning Coming Down” di Johnny Cash; infine la conclusiva The Next 20th Century che finisce per essere la traccia migliore del disco. L'interpretazione è meno patetica, più asciutta, netta, c'è un bel suono delle tastiere, si sente un certo sapore da Greenwich Village e si sentono persino delle chitarre elettriche (vivaddio). Per il resto sembra tutti fuori da un qualsiasi contesto, molta estetica, poca sostanza, ma la mancanza di punti di riferimento qui non è sinonimo di originalità.

58/100

Foto in Home di Emma Tillman