Una top 7 d’autore alla scoperta di Scatola Nera

Scatola Nera, in uscita lo scorso ottobre per Labellascheggia e Artist First, è un progetto nasce dalla collaborazione e dall’amicizia decennale tra Giacomo Carlone, produttore milanese, e il musicista e autore Luca Barbaglia. Grazie all’incontro con il pianista e saxofonista Gaetano Pappalardo e il chitarrista Simone Sigurani, è iniziato il lungo viaggio di arrangiamento, registrazione e produzione che ha dato vita alle canzoni di Barbaglia.
Chitarre, pianoforti preparati, ottoni e cori intessono le atmosfere di questo disco registrato in presa diretta. Il lavoro di postproduzione, condotto in digitale e in analogico, ha invecchiato alcuni strumenti: soprattutto i fiati e i pianoforti sembrano rippati da vecchi vinili anni ’20, ma si tratta in realtà di parti scritte ed eseguite ex novo.

Le canzoni sono alternate da alcuni remnant, frammenti musicali, quasi ambient, che testimoniano il lungo iter di scrittura e di arrangiamento che questo disco ha richiesto per la sua realizzazione. Questi frammenti provengono dalle sessioni preparatorie del disco. Sono state registrate tra Milano e Londra, tra il Supermoon Studio e l’Abbey Road Institute. Questa è una peculiarità di questo progetto che, insieme alle canzoni, tenta di testimoniare la loro origine, la loro storia emotiva e creativa, assimilando le recenti sperimentazioni estere dell’hauntology musicale e del plunderphonics di Caretaker. La scrittura dei testi procede per immagini e per atmosfere frammentate: la poetica è quella di una memoria che cerca di ricordare, di ricomporsi, mettendo intorno a sé i suoi cocci.

Andiamo alla scoperta del background musicale della Scatola Nera in un viaggio attraverso 7 tracce d’autore.

1. Donovan, “London Town” (1965, scritta da Mick Taylor)
Come molte persone hanno notato, alla base di scatola nera ci sono delle ballate scritte in formula canzone. Il centro di ogni pezzo è sempre una scrittura per chitarra e voce. Iniziamo questa top 7 con un prezioso esempio di questa tecnica compositiva.

2. Drake, “River Man” (1969)
Su questa scia non possiamo non ricordare anche Nick Drake, che qualcuno ha sentito risuonare tra le pieghe della nostra musica. La sua musica invecchia benissimo, ogni anno sembra sempre più nuova e fuori dal tempo. Ci siamo limati le unghie negli anni a furia di studiare e suonare le sue canzoni.

3. Penguin Cafè Orchestra, “Penguin Cafè Single” (1976)
A noi piace molto un genere che in Italia non ha mai avuto una particolare diffusione: l’avant pop. È una musica elegante, ornamentale e molta ironica, una musica da ascensore, come direbbe Brian Eno, che può nascondere capacità tecniche impareggiabili. Per questo proponiamo i Penguin Cafè Orchestra.

4. Ethal Waters, “Miss Otis Regrets” (1934)
Tra le varie ispirazioni di Scatola Nera è stata fondamentale la musica di Broadway degli anni ’30-’40, la riportiamo qui con il suo esempio più brillante, Cole Porter. Miss Otis Regrets è un brano unico, in cui la voce è data a un maggiordomo, costretto a raccontare agli ospiti la dipartita della sua padrona. La tragica
fine viene riassunta con un linguaggio salottiero, “Miss Otis Regrets. She’s unable to lunch today”. Ascoltiamo la prima versione registrata da Ethel Waters.

5. High LLamas, “Sparkle Up” (1996)
Hawaii è un album di un esotismo stralunato, armonicamente molto complesso, ricco di modulazioni oniriche e di citazioni musicali. Gli High Llamas non sono mai entrati nei radar italiani, ma vale davvero la pena ascoltarli. Noi questo disco l’abbiamo consumato.

6. Mazzy Star, “Into Dust” (1993)
Qualche recensione ha parlato di una dimensione “acquosa” e onirica di Scatola Nera. Penso che questo suono derivi in parte da alcuni ascolti di band dream pop anni ’90. Non possiamo fare altro che ricordare i Mazzy Star, di cui ci hanno sempre affascinato gli arrangiamenti dilatati e la delicatezza delle loro atmosfere.

7. The Caretaker, “An Empty Bliss Beyond This World” (2011)
L’ultimo artista che proponiamo è più un filosofo che un musicista. The Caretaker (Leyland Kirby) ha trasformato la teoria dell’hauntology in musica, recuperando vecchi vinili con musichette anni ’40 trasformandole in atmosfere chiuse in misteriose sale da ballo. Ci ha insegnato il sapore e la bellezza della polvere e come trasformarla in musica.