MARTINA TOPLEY-BIRD, “Forever I Wait” (autoprodotto, 2021)

Ho un rapporto particolare con Martina Topley-Bird: non ascolto più cd da tempo, ma il suo album di debutto “Quixotic” (2003) è l’unico cd che ho in auto da un paio d’anni a questa parte, per cui quando per ragioni di connessione non riesco ad ascoltare musica in streaming, passo a “Quixotic”. E’ stato un caso, certo, ma è un album che tutte le volte che lo riascolto mi fa capire come il trip hop è stato un movimento avanguardistico fuori dal tempo, che rimane coerente con se stesso sia che risuoni negli anni ’90, sia nel 2003 oppure che si insinui tra le pieghe di album recenti, come il bellissimo “Collapsed In Sunbeams” (2021) di Arlo Parks. Inoltre la cantante già musa di Tricky e poi dei Massive Attack è una delle più dotate vocalmente della sua generazione, e basti ascoltarsi le sue versioni dal vivo di “Teardrop” che personalmente trovo più fascinose dell’interpretazione originale della Frazer (eresia! potrà dire qualcuno…).

“Forever I Wait” è dunque il suo quarto album, ma lei racconta che è come se fosse il primo: a parte che sono trascorsi 11 (!) anni dal terzo, è la prima volta infatti che ha curato tutto il processo creativo, e che si è sentita padrona del risultato artistico perché ha direzionato lei le collaborazioni di Robert Del Naja dei Massive Attack, Rich Morel (Deep Dish), Christoffer Berg (Fever Ray) e Benjamin Boeldt (Adventure), oltre a quella fondamentale di Tiadiad. E non è la risposta al lutto indicibile che l’ha colpita, la morte della figlia Mina nel 2019, avuta con Tricky, perché gran parte dell’album era già pronto. “Forever I Wait” volteggia dunque in un mondo a metà tra lo psichico e il fisico in cui synth fumosi si sciolgono negli accordi di chitarre “sporche” (come nell’iniziale “Pure Heart, un gran pezzo), e il più delle volte sembra che la voce di Martina fluttui in uno spazio indefinito, un po’ vagando senza meta, un po’ cercando vette bellissime (“Wanted”). In altri punti è più determinata ma perde in charme (“Game”, in cui nel ritornello fa capolino l’autotune).

In tutti questi anni in cui la Topley-Bird era stata in silenzio circa la propria produzione si è spostata più volte; ha vissuto infatti a Baltimora (a cui si è ispirata per “Wyman” e “Collide”), Londra e ora si è stabilita a Valencia, in Spagna. Nell’intervista rilasciata al Guardian dichiara che Valencia l’ha aiutata molto ad andare avanti dopo la dipartita di Mina, anche se sente di non aver ancora superato il dolore. Il focalizzare le idee per tornare su “Forever I Wait” è stato in ogni caso salvifico: e non è un caso che l’album si chiuda con l’unico brano “positivo” e totalmente diverso, e cioè con gli archi di “Rain”: anche se il testo è stato scritto dalla sua compagna Nat, lei lo fa proprio in questa collocazione strategica.

“One day while walking in the rain / I find my path along the way / I caught myself alone again/ Forever young” . (“Un giorno mentre camminavo sotto la pioggia / ho trovato il mio sentiero lungo la strada/ Mi sono ritrovata di nuovo sola / Per sempre giovane”): ed è così, non perché per noi reduci degli anni Novanta lei sarà sempre giovane: è che la sua voce sarà indubitabilmente sempre bella come la gioventù.


74/100

(Paolo Bardelli)