“Evviva Manifesto”, intervista ai Minnie’s

Cambiamento è un concetto affascinante, dalle mille sfumature. Perché può nascondere una necessità, un’occasione, una pianificazione o uno scarto improvviso. Può racchiudere tutto questo insieme, o niente di tutto questo. Come una scommessa.
Per una band come i Minnie’s, una delle realtà più longeve e sotterranee della scena indipendente italiana, il cambiamento è la sintesi di un percorso, una scommessa continua, appunto. Tensione e crescita. Ed essendo una band, la sintesi del loro percorso non può che essere un disco, da “Cicale” e “Che Segreti Hai”, i due singoli che hanno anticipato l’uscita di “Evviva Manifesto”, pubblicato a fine novembre da La Valigetta, dove ognuno dei 12 brani del disco rappresenta un passo di questo percorso.

Difficile descrivere i Minnie’s per chi non vi si è ancora imbattuto. Ma proviamoci, come definireste “Evviva Manifesto”?

Evviva Manifesto è un disco da ascoltare per stare bene. Sono 12 pezzi pieni di riferimenti musicali, assolutamente trasversali. Ci sono chitarre shoegaze, ma anche tanta elettronica, i richiami all’indie rock e all’emo, un’eco punk ma con la voglia di essere sfacciatamente pop. Altri avrebbero cambiato nome. Noi ci siamo presi la responsabilità di rimanere MINNIE’S e sublimare la tensione che ci ha sempre contraddistinto in un racconto di storie facciano bene, non solo a noi stessi.

Nell’album emerge un uso più deciso di sonorità sintetiche ed elettroniche. In che misura le collaborazioni con Enrico Gabrielli e Tatè Nsongan hanno arricchito la composizione? E che rapporto avete con i due?

Enrico e Tatè sono due musicisti complessi, due virtuosi. Ci hanno aiutato a dare profondità e atmosfera a canzoni fondamentali del disco. “Dovunque”, il pezzo dove suona Tatè, è un viaggio che corre tra Who e Stone Roses con chitarre fuzz e rhodes. Poi all’improvviso arriva la sua voce in lingua bassa (camerunense). Prima di arrivare in studio non avevamo assolutamente idea di cosa avrebbe fatto e come. È stato uno shock. Lo stesso si può dire con Enrico Gabrielli. Inizialmente doveva inserire il suo featuring solo su “Fenice”, suonando il sassofono. Poi, una volta in studio, è stato naturale chiedergli di provare qualcosa anche su “Volare”. Ha ascoltato il brano ed è partito con il clarinetto basso, uno strumento lontanissimo dal nostro modo di arrangiare e creare la musica in un’atmosfera magica, a tratti irreale. 

La vostra storia è in continua “tensione e cambiamento” attraverso il corso ormai di tre decenni. Se doveste spiegare le principali differenze agli appassionati di musica indipendente che non hanno vissuto gli anni in cui i Minnie’s muovevano i primi passi, cosa raccontereste?
Era una golden age? Era una nostra illusione, oppure c’era davvero qualcosa che è poi rimasto negli anni, in quell’epoca?

Beh prima di tutto non c’era Internet. Non una cazzata. Tutto questo ti costringeva a un confronto collettivo, al negozio di dischi, ai concerti, con una realtà più vicina. I nostri riferimenti erano le band di Milano, o tuttalpiù italiane… ovviamente con i maestri nelle orecchie. The Clash, Cure, The Smiths e una vagonata di cose americane. La differenziante è sempre stata la curiosità. Quella che vorremmo scatenare con il disco, ma soprattutto nei live che partiranno tra l’inverno e la primavera di quest’anno.

Quali artisti o quali suoni contemporanei vi sembrano particolarmente ispirati o vi hanno particolarmente colpito di recente?

Il suono dei The Comet Is Coming è stata una boccata d’aria fresca, forse la rivelazione live del 2019. Lontanissimi dal nostro mondo, ma un buon riferimento per quanto riguarda il processo creativo e di ibridazione: jazz, rock, prog, elettronica, afrobeat si fondono in una materia autentica. Altri gruppi internazionali recenti che abbiamo amato sono Khruangbin, Idles, Parcels, l’ultimo dei DIIV, Big Thief, Helado Negro e Little Simz (la lista potrebbe andare avanti). Dall’Italia sicuramente Generic Animal, Andrea Poggio e Giorgio Poi.

Gioco inevitabile: i vostri dischi preferiti degli anni Dieci

La cosa frustrante di questo gioco è che sai già che lascerai alcuni dischi del cuore fuori dalla lista. Un po’ come fare le pulizie di primavera. Comunque ci proviamo: King Krule – The Ooz, Wilco – The Whole Love, David Bowie – Blackstar, Beach House – Bloom, Sun Kill Moon – Benji, Deerhunter – Alcyon Digest, Massimo Volume – Cattive Abitudini, Bon Iver – Bon Iver, Arcade Fire – The Suburbs, Kendrick Lamar – To Pimp a Butterfly, Swervedriver – Future Rains.