TEI SHI, “La Linda” (Downtown Records, 2019)

Quando si parla di Valerie Barbosa, in arte Tei Shi, la prima cosa da fare è mettere ordine. Già solo provando a sintetizzare le sue origini si rischia infatti di perdersi: ebrea nata a Buenos Aires da genitori colombiani, un’infanzia a Bogotà e oggi una residenza a New York inframezzate da quell’età cruciale che è l’adolescenza, trascorsa a Vancouver. Poi c’è la musica, in apparenza un argomento più semplice dato che fino a questo nuovo album l’avremmo piuttosto nettamente circoscritta ad un electropop ispirato da quella che era la scena canadese dei primi anni 10. Non è un caso che Grimes per prima si sia dichiarata fan di Tei Shi da tempi non sospetti, dando vita ad un tam-tam su web che ha portato quest’ultima ad una visibilità più che meritata. La scrittura in due EP di esordio come “Saudade” e “Verde” era effettivamente più consistente rispetto alla media del genere, così come era evidente il talento naturale nello scrivere canzoni rotonde e di impatto, eppure tutto questo non le è mai bastato per essere nome di primissimo piano: in un’industria così satura come quella odierna l’asticella della personalità si è alzata di molto, e questa cosa ha sempre impedito alla brava Valerie di raggiungere i grandi riflettori.

Con “La Linda” Tei Shi cambia quindi rotta verso territori inediti per la sua musica ma in larga parte a lei familiari considerate le sue origini e il suo percorso. A rimarcare l’impressione che la ragazza sia a suo agio in questa svolta è innanzitutto un approccio meno quadrato e più fluido: la voce scivola sul suono in maniera più organica, soffice e calda, più soul insomma. Al netto di questo sembra quasi telefonata l’unica featuring del disco ovvero Blood Orange, figura che guardando a questi anni 10 che stanno finendo potremmo definire sigillo di garanzia quando si finisce su certi binari e li si percorre in maniera creativa. E quanto a creatività il disco è ricco: dall’appiccicoso ritornello di una “Matando” che potrebbe essere uscita dal cilindro di quella Kali Uchis con cui Tei Shi condivide le proprie origini colombiane alla raffinata lounge di “A Kiss Goodbye”, passando per una “No Jueges” che parte ballad acustica e gradualmente finisce ad appoggiare con grande gusto tropicalismi, dub e reggaeton su un beat essenziale e lucidissimo. Nel complesso un’apertura a ventaglio sicuramente interessante dove però il rischio di eccessiva dispersione è sempre dietro l’angolo, e in questo senso è emblematico lo sconfinamento nel country-folk di “When He’s Done”: di certo un bel numero che non sfigurerebbe nel catalogo di Kacey Musgraves o sul palco della Roadhouse di Twin Peaks ma che in un menu che in linea di massima vede l’rnb come ingrediente base sembra inserito forzatamente, come se far capire che ‘la ragazza sa fare un po’ di tutto’ fosse più importante del dare una direzione al progetto.

Il songwriting non si è fatto meno solido rispetto a “Crawl Space” ma in compenso l’allineamento con quest’altro tipo di sonorità ha condotto giocoforza ad un’interpretazione vocale estremamente gradevole ma pure chiusa entro registri che tengono sotto coperta quell’espressività e quella potenza che scuotevano l’ascoltatore in vecchi brani come “Bassically”. Contemporaneamente il fatto di arruolare molti produttori per mettersi alla prova su più fronti da una parte ci fa scoprire una Tei Shi molto versatile e la conferma attenta e ancora molto fresca rispetto agli standard attuali ma dall’altro rischia di depersonalizzarla come artista in sé e per sé. La sua cifra stilistica si è sempre misurata più sulla qualità delle canzoni che sulla singolarità della proposta, ma oggi più che mai l’impressione è quella di un’artista che cavalca certi trend anziché affrancarsene. Sono scelte che non compromettono la godibilità di buona parte di queste nuove canzoni ma su cui a questo punto sarebbe opportuno fermarsi a riflettere.

66/100

(Simone Madrau)