Deerhunter, Santeria, Milano, 29 maggio 2019

E’ strana l’atmosfera del concerto milanese dei Deerhunter, complice l’aria da reclusi-in-Italia-orfani-del-Primavera-Sound degli astanti e la sensazione di contarsi tra chi ancora guarda ai Deerhunter come a narratori odierni (e non del passato) tra i migliori. Il Santeria non è stracolmo e sembra quindi che possa essere trascorsa per i più l’idea che i Deerhunter siano il vero punto di riferimento di questi Anni Dieci, quantomeno del primo lustro. Per il sottoscritto lo sono, ma può essere che questa considerazione non sia condivisa universalmente.

Peraltro è sufficiente attendere l’inizio del live, dopo l’apertura di Verano (con Daniele Carretti -Felpa- alla chitarra effettata), per togliersi qualsiasi tipo di dubbio. Sul palco Cox e soci hanno ribadito, se ce n’era bisogno, che il loro rock onirico e obliquo ha ancora da dire. In realtà i pulsanti sui quali spingono – e cioè i finali dilatati, i crescendo sonici, i tempi ipnotizzanti, i divertissement da classic rock – sono gli stessi di dieci anni fa (il sottoscritto li vide in concerti bolognesi nel 2011 e nel 2013), è la loro consapevolezza che risulta ancora maggiore. I Deerhunter si divertono, ma sanno dosare bene l’alternanza tra le canzoni in cui la componente melodica è più marcata e le necessarie accelerazioni e partenze per lo spazio psichico, o per le distorsioni post-punk. Scontato citare il sempiterno finale di “Desire Lines”, momento elevatissimo e di un’intensità tale che è difficile da descrivere, ma se di un finale bisogna parlare (perché la band di Atlanta è maestra di finali) è quello di “Take Care” a marcare la serata con Bradford Cox che impugna la chitarra a metà canzone e canalizza la song all’interno di un tunnel lancinante.
Sarebbe sbagliato però descrivere i Deerhunter del 2019 come una band capitanata e dominata da Cox: contrariamente al passato la loro pasta sonora odierna ci restituisce un gruppo coeso in cui l’apporto ritmico di Moses Archuleta è piuttosto insostituibile, per non parlare – ma è naturale – del chitarrismo puntuale e discreto di Mr. Lotus Plaza Lockett Pundt. Una compattezza deliziosa.

Per qualcuno il concerto dura troppo poco (un’ora e venti minuti) ma per il sottoscritto questo non conta: quando si accendono le luci e si deve tornare alla vita vera l’unica sensazione che rimane è quella di continuare ballare “Coronado” stile-twist. E non è poco saper prendere la vita come se fosse un twist.

(Paolo Bardelli)

Scaletta:
Intro
Cryptograms
Death in Midsummer
No One’s Sleeping
What Happens to People?
Helicopter
Revival
Futurism
Desire Lines
Take Care
Plains
Disappearing Ink
Coronado
Nocturne

Encore:
Cover Me (Slowly)
Agoraphobia
Monomania

 

foto di Alise Blandini