BIBIO, “Ribbons” (Warp Records, 2019)

Quando mi sono seduta e ho ascoltato per la prima volta “Ribbons”, il nuovo album in studio di Bibio mi sono trovata immersa in un’insolita dimensione. Nelle sedici tracce Stephen Wilkinson/Bibio, passa da atmosfere magiche dal sound lo-fi, alla dolcezza sommessa della produzione folktronica da sempre presente nelle sue canzoni. Dopo “Phantom Brickworks” del 2017, che ha visto l’artista esplorare per la prima volta la musica ambient buttandosi a capofitto nella sperimentazione, il musicista inglese tenta di racchiudere con questo nuovo progetto, la sua intera la carriera musicale.
Il disco si apre con “Beret Girl”, brano interamente strumentale, dove delicate chitarre riverberanti ci annunciano ciò che dobbiamo aspettarci da qui in poi. Con il cinguettio di uccellini e i tenui arpeggi, il pezzo riflette tutta l’autenticità di Wilkinson come artista.
In “Ribbons” l’elettronica si fonde perfettamente con il folk ma non solo, Bibio inserisce molti nuovi strumenti alla chitarra: archi, strumenti a corde, violini e mandolini, creando un mix che si avvicina alla musica popolare, ma con sfumature bucoliche e sognanti. Che si tratti di archi come in “Under a Lone Ash” che ricordano Nick Drake o della tenera interazione da scenario irlandese in “Patchouli May”, ogni elemento di questo disco suona con una grazia e un virtuosismo mai visti prima.
“The Art of Living” è una riflessione sugli effetti che gli accadimenti della nostra vita hanno su di noi, considerazioni introspettive sull’amore e sui rapporti di coppia in chiave folk-soul: “And she pushed me on the floor, to teach me how to fall, to save me.” Con il suo lo-fi rassicurante “Ode to a Nuthatch”, emana calore già all’ascolto delle prime note, una sensazione penetrante di pace e tranquillità, come quella che si prova nel passeggiare a piedi nudi sull’erba accanto ad un ruscello. Il disarmante “Watch the Flies” si solleva con la sua melodia lancinante e il turbinio di note di chitarra concludendosi con ardenti virtuosismi, quasi come a voler raggiungere qualcosa in più di ciò che il brano si era prefissato all’inizio. In “It’s Your Bones”, la voce di Bibio sussurra: “And you’ll find a place to hide, but you forget to seal the door, it’s your mind that they will find”, un avvertimento al protagonista di questa fiaba cantata, un viaggio nella fantasia impreziosito da flauti e violini.
Le canzoni sognanti dell’album sono altrettanto vincenti quando Bibio evoca una melodia più tradizionale, quando esegue in loop campionature dall’effetto ipnotico – o fa contemporaneamente entrambe le cose, così come su “Erdaydidder-Erdiddar”. Il brano potrebbe essere la colonna sonora di una danza medievale, sormontato da insistenti arpeggi e flauti irresistibilmente vorticosi e dall’uso del violino, costruito su un ritmo modellato da passi e colpi, passa dall’essere incantevole a inquietante nel finale.
Ribbons non deve e non può essere archiviato esclusivamente come folk, prendiamo ad esempio il sexy soul shuffle latino di “Old Graffiti”, pezzo groove jazz-funk con una tastiera decrescente e una linea di basso popping. La sensazione di inceppamento della canzone dà l’impressione che vi sia un’intera band che suona e sovrappone più strumenti, anziché una sola persona. Un’altra eccezione è “Pretty Ribbons and Lovely Flowers”, il pezzo sicuramente più tetro e sperimentale. La traccia racchiude voci spettrali e synth in loop, per un soggiorno indefinito nell’ignoto.
Insomma, questo è senza dubbio l’album più pittoresco e organico di Wilkinson, adatto ad un fresco e luminoso giorno d’estate, così come ad una passeggiata in un bosco abitato da creature magiche, così come qualche leggenda potrebbe narrare. Incentrato su fugaci visioni, serate silenziose e mattini fiorenti, intriso nella sublime e persistente melodia di un’atmosfera ultraterrena, questo disco si distacca da ogni epoca e tempo, da ogni spazio e luogo fino ad oggi conosciuti.

79/100

(Simona D’Angelo)