DEERHUNTER, “Why Hasn’t Everything Already Disappeared?” (4AD, 2019)

Difficile crederlo in un’epoca musicalmente così volatile, ma i Deerhunter sono ancora qui con noi e abbiamo dedicato loro la prima copertina del 2019 per celebrare l’uscita del loro ottavo album. Sono qui con noi senza segni di invecchiamento precoce e senza alcuna forzatura, grazie alla vena quasi inesauribile di uno dei più eccentrici, incostanti, per non dire scostanti, autori contemporanei e a un suono ormai definito e inconfondibile. Bradford Cox ha ancora al suo fianco l’altro fondatore del progetto che vide luce nel 2001 in un Atlanta underground ai tempi molto garage e poco trap, Moses Archuleta, il suo migliore dai tempi del liceo, Lockett Pundt, e Josh McKay, subentrato a Josh Fauver, vecchio bassista scomparso nel novembre del 2018 che a sua volta era subentrato a Justin Bosworth morto in un tragico incidente in skate ormai quindici anni fa.

Sorprende anche per questo la longevità molto naturale e inscalfibile della band, sempre sull’orlo del dramma e del crollo, a partire dalla complessa e traumatica storia personale di Cox che ha sempre trovato forza, ispirazione e potenti effetti terapeutici nei suoi dischi. Per questo “Why Hasn’t Everything Already Disappeared”, il cui titolo è preso dal titolo di una delle ultime opere del filosofo francese Jean Baudrillard che qualche mese prima della sua morte approfondiva per l’ultima volta il tema metafisico della scomparsa della realtà e dalla realtà.

I quattro per ultimare le registrazioni sono in qualche modo scomparsi dalla circolazione per qualche mese rifugiandosi nell’isolamento della città cinematografica fantasma del Texas, Marfa, accompagnati da quello che dall’ultimo tour è diventato il quinto Deerhunter, Javier Morales, tastierista e sassofonista. E da due dei musicisti della scena psych-garage più apprezzati su queste pagine, Tim Presley (White Fence e molto altro) e la gallese Cate Le Bon, che ha poi curato la co-produzione dell’album insieme all’immancabile Ben H. Allen III (già produttore degli ultimi tre LP) e Ben Etter, assistente di studio in “Fading Frontier”.

Provando a partire proprio dall’ispiratissimo “Fading Frontier”, i Deerhunter proseguono verso un percorso molto diretto e meno oscuro e cervellotico della fase pre-“Monomania”. Dalle jam texane e dalle successive fasi di registrazione e mixaggio tra Texas, Los Angeles e la loro Atlanta, è nato un altro album di trentasei minuti di pop psichedelico molto ricco e arrangiato, con frequenti incursioni di sax e tastiere.

Si percepiva, nonostante i rumour sulle jam in mezzo al nulla, già dai primi due estratti “Death In Midsummer” ed “Element” che i Deerhunter non volessero perdersi in onanismi psichedelici o in rigurgiti di western/desert come si potrebbe intuire dalle nuove foto di copertina, promozione e dal video della traccia d’apertura. Il sound è nostalgico, ma inequivocabilmente Deerhunter e la forma canzone resta centrale: “No One’s Sleeping”, “What Happens To People” e soprattutto “Futurism” (un ossimoro, il titolo, nel brano che guarda più alla tradizione). Ci si continua a emozionare, insomma, grazie ad armonie da brivido e avvolgenti crescendo sinfonici (uno degli aspetti più incantevoli e intensi del disco), anche nei brani più “innocui” come “Plains” che in due minuti parte da un funkettino 80s quasi caraibico ed è risucchiato in una di quelle epiche melodie da erede dei Mercury Rev che solo Bradford Cox riesce ancora a scrivere per bene.

Non mancano ovviamente momenti più introspettivi e enigmatici, più in linea con i testi mai solari e rassicuranti di Cox, dal delirio spettrale di “Détournement” che completa idealmente l’intermezzo strumentale molto Ariel Pink di “Greenpoint Gothic” e la caleidoscopica chiusura di “Nocturne” passando per “Tarnung”, una piccola gemma di avant-pop cinematografico e psichedelico che potrebbe far intravedere sviluppi nuovi e interessanti nel nono capitolo di questa epopea davvero unica.

I Deerhunter chiudono a modo loro un decennio che avevano aperto nel migliore dei modi “Halcyon Digest”. Difficile fare previsioni sul loro futuro, perché Bradford Cox e soci continueranno sempre e comunque a procedere in una direzione singolare. Fuori da ogni logica e tendenza.

76/100