AVEY TARE’S SLASHER FLICKS, “Enter The Slasher House” (Domino, 2014)

avey-tares-slasher-flicks-enter-the-slasher-house-reviewDavid Portner, aka Avey Tare, vanta un curriculum di tutto rispetto: dalla fondazione degli Animal Collective con Panda Bear nel 2000 – da allora una delle realtà musicali più interessanti del panorama americano – ha mostrato la sua versatilità tenendo sempre le mani in pasta, costantemente immerso in side-project (Terrestrial Tones), collaborazioni con ex-mogli (“Pullhair Rubeye” con Krìa Brekkan), split con pezzi grossi (come il signor David Grubbs), e un precedente album solista, “Down There” (Paw Tracks, 2010).
In questi quattordici anni Portner ha spaziato dalle forme più astratte alle più tradizionali, manipolando sapientemente la materia folk come quella digitale. Gli Slasher Flicks sono il nuovo luogo in cui viene canalizzata la sua esuberante personalità: nientemeno che Angel Deroodian (ex-Dirty Projectors) alle tastiere e Jeremy Hyman (ex-Ponytail) alla batteria si uniscono a lui e usano il suo linguaggio nella versione più chiassosa e suggestiva.

L’apertura del disco, “A Sender”, contiene già quasi tutto l’essenziale: il ritmo ipnotico, la melodia a metà tra l’epico e il comico, la frenesia da horror, i guizzi affilati, l’atmosfera garage-rock. Muovendosi nelle stanze della Slasher House si trova un po’ di tutto: pezzi di punk digitalizzato (“Blind Babe”); momenti squisitamente pop (il singolo “Little Fang”, che a noi italiani ricorda un po’ “Baudelaire” dei Baustelle); vaudeville orecchiabili e stranianti (“The Outlaw”); e a chiudere il tutto “Your Card”, esplosiva. L’intero meccanismo, a colpi di synth e percussioni tribali e digitali, gioca sulla sinestesia, divora i suoni e li restituisce in forma di colori.
Personalità esuberante, si diceva, che qui dà libero sfogo alle sue fantasie, e non riesce a evitare di risultare prolissa. Pare che Portner, abbandonando l’ermetismo dell’ultimo lavoro che portava il suo nome, l’ottimo “Down There”, abbia quasi esagerato, ma in piena coscienza di farlo e senza prendersi troppo sul serio. Infatti, se lo si prende per quello che è, ovvero un altro esempio della psichedelia-giocattolo di Avey Tare, “Enter The Slasher House” è un buon album, un carnevale eterogeneo – per quanto alla lunga ridondante nelle forme ‪– ma coeso e divertente.

75/100

(Pietro Di Maggio)

27 maggio 2014