JANELLE MONÁE, “Dirty Computer” (Bad Boy Records, 2018)

Questi ultimi giorni per quello che riguarda la scena musicale italiana e dopo questa specie di exploit per il suo concerto sul lungomare di Napoli, non si è fatto altro che parlare di questo Liberato e di come le critiche nel suo caso siano prevenute datao che si tratterebbe di un’operazione di marketing riuscita, bla bla bla. Senza negare la professionalità di chi si occupi di marketing oppure promozione, tuttavia, penso che parlare di musica non significhi parlare di pubblicitari, anche se poi questa da tutti i punti di vista ha un suo forte imprinting sul piano mediatico sin dai tempi di Elvis Presley e poi del boom dei Beatles. Tanto che alla fine critici musicali si dividono anche oggi sulla qualità effettiva di questi artisti e su che ruolo abbiano effettivamente avuto nella storia della musica ecc. ecc.

Parlare di un’artista popolare come Janelle Monáe potrebbe essere difficile, prescindendo da quello che poi sarebbe il cosiddetto show-business e dove l’aspettico mediatico abbia oramai superato quello lì strettamente legato ai contenuti musicali. Quanta gente compra ancora dischi in fondo? Eppure l’attenzione mediatica non significa questi artisti non abbiano nessuna qualità; in secondo luogo chi ci mette la faccia (in questo caso: Janelle) si becca gli elogi, ma pure le critiche e gli ascoltatori sono interessati a e lei e solo a lei e se ne fregano giustamente dei discografici e dei produttori e di tutte le persone che ci lavorano attorno. Quindi be’, penso che sinceramente Janelle Monáe vada valutata per le sue qualità artistiche e per quello che fa. E questa ragazza ha grande talento. Oggettivamente ha una grande personalità e ha una voce meravigliosa e secondo me è stata protagonista anche di esperienze interessanti sul piano artistico, anche se sicuramente sofisticate e in qualche modo al limite dell’artefatto. Così il mio giudizio è sempre rimasto in sospeso e tutto sommato anche questo disco non mi ha chiarito le idee. Che poi la canzone migliore è alla fine quello lì che ha avuto più successo e riconoscimenti, cioè il singolo “Make Me Feel”, dominato da un certo groove funky, ma sono buoni anche pezzi come “Screwed” (con Zoe Kravitz) e “Americans” che riprendono in maniera convincente un certo gusto pop tipicamente anni ottanta. Il pop-soul di “Stevie’s Dream”, ma anche l’hip-hop accattivante di “Django Jane”. Altre cose le trovo francamente poco riuscite, a partire dalle varie collaborazioni, la title-track con Brian Wilson e in cui si sente tutta la stanca dell’ex Beach Boys oppure il minimalismo di “Pynk” (con Grimes) e il solito pop grossolano di Pharrell Williams di “I Got The Juice”, che peraltro suona come se fosse roba di quindici anni fa. Le influenze Daft Punk di “Crazy, Classic, Life”.

Su tutto spiccano le grandi qualità vocali di Janelle e la sua formazione soul e rhythm & blues e il mio giudizio potrà apparire strano per un’artista giovane ma già affermata a grandissimi livelli come lei, però con questo disco la sensazione è di trovarci davanti a un’artista in sospeso e che lasci davanti a sé aperte diverse strade ma senza imboccarne nessuna in maniera decisa e come la sua sfrontatezza richiederebbe.

69/100

(Emiliano D’Aniello)