JOEL GION, “Joel Gion” (Beyond Beyond Is Beyond Records, 2017)

Joel Gion è una figura eccentrica e dalla personalità molto particolare. Lo si potrebbe sicuramente definire geniale e allo stesso tempo una specie di ‘jolly’: una persona carica di energia e che con il suo carattere e la sua attitudine rock and roll, è diventato una figura iconica nel mondo della psichedelia e quello che potremmo considerare, per volontà del deus ex machina Anton Newcombe, il vero e proprio frontman dei Brian Jonestown Massacre. Del resto a Anton sul palco piace occupare quella posizione tipica di Bob Dylan, posizionandosi su di un lato del palco rispetto al pubblico, prevalentemente alla destra del resto della band e lasciando la scena completamente a Joel. Il percussionista. ‘The Tambourine Man’.

Gli ascoltatori hanno imparato a conoscerlo allo stesso modo con cui la maggioranza è prevalentemente entrata per la prima volta entrata in contatto con la musica dei Brian Jonestown Massacre, cioè il documentario ‘Dig!’ diretto da Ondi Timoner, e di cui Joel Gion costituisce la variabile impazzita e imprevedibile nel confronto tra le figure e le personalità di Anton e quella di Courtney Taylor dei Dandy Warhols.

Diciamo che rispetto a quei tempi Joel è sicuramente cresciuto, dandosi una ‘regolata’, ma non per questo ha perso la sua verve e la sua creatività, che negli ultimi anni ha sviluppato anche attraverso la pubblicazione di alcuni suoi lavori come solista. Il suo secondo LP, dopo un EP pubblicato nel 2011 e il fortunato ‘Apple Bonkers’ (2014), si intitola semplicemente ‘Joel Gion’, è uscito lo scorso 17 novembre su Beyond Beyond Is Beyond Records e presenza delle sonorità sicuramente inedite rispetto a quelle che siamo soliti accostare a questo personaggio.

Qualcuno ha parlato di Brian Wilson. Lo stesso Joel ha voluto menzionare Ike & Tina Turner. Secondo me ci sono un sacco di riferimenti allo chansonnier Serge Gainsbourg. Considerando lo stesso giro incredibili di musicisti attorno all’universo Brian Jonestown Massacre, accosterei le sonorità del disco (ora registrate con l’utilizzo di fiati e con tinte calde intrise di un certo tropicalismo e bossa nova) a quelle di Matthew J. Tow e dei suoi Lovetones, oltre che allo stile di un grande cantautore poco conosciuto e tragicamente scomparso troppo presto come Kevin Junior (The Chamber Strings). Ma soprattutto le nove canzoni che compongono il ‘Joel Gion LP’ sono permeate da certe atmosfere tipicamente californiane e descritte da Jack Kerouac in ‘Big Sur’ (1962), quell’altra faccia di San Francisco, che dall’alto dei Monti Santa Lucia si affaccia a picco sul Pacifico e dove la vista si perde tra la linea dell’orizzonte dell’oceano e la bellezza della regione una volta abitata dagli indiani Ohlone.

Joel ha fatto nel complesso quello che possiamo considerare un ottimo lavoro (a parte l’ultima traccia, ‘Mercury In Retrograde’, che secondo me c’entra poco con tutto il resto) e che rimanda a una certa cultura beatniks e sensazioni che riassumerei con una delle poche citazioni che io ricordi a memoria e anche questa proprio di Jack Kerouac, ma ripresa da ‘I vagabondi del Dharma’: ‘Che importa della torre, dei demoni, dello sperma e delle ossa della polvere, infatti mi sentivo libero e perciò ero libero.’

Emiliano D’Aniello

76/100