CHARLOTTE GAINSBOURG, “Rest” (Because / Warner, 2017)

È un po’ un dato di fatto che a nominare Charlotte Gainsbourg venga subito in mente il lungo elenco di nomi a lei associabili. E non mi riferisco ai due celebri genitori, o almeno non solo a loro. Si parla della Charlotte attrice di Zeffirelli, di Gondry, di Lars Von Trier. Si parla della cantante che lavora con gli Air e Jarvis Cocker e poi firma IRM con Beck. Charlotte è tante cose. Cose fatte quasi mai in solitaria. Questo può porre l’interrogativo su chi sia veramente Charlotte Gainsbourg. Chansonnière francofona, popstar internazionale, attrice che veste (e sveste) panni impegnativi, madre e eterna figlia.

Certo è che la sua carriera musicale, con la tappa che si chiama “Rest” arriva ad un punto focale. Qui, attorno ai suoi testi ci sono canzoni pop sussurrate ma che indossano il vestito da sera. “Rest” è il bilinguismo come essenza, non come esercizio. La produzione e la scrittura di SebAstian (che oggi non è un nome pesantissimo ma una decina di anni fa eravamo a parlarne spesso) regala all’album un’aura di epica nostalgia chic. Nostalgia che poi è anche dolore autentico. Da una certa prospettiva questo è un disco intriso di lutto. Però è un lutto (per la morte della sorellastra Kate e non solo) che magicamente non ci piega lo stomaco ma celebra, unisce e addirittura eleva.
Si parla molto degli Air come riferimento suggestivamente incombente. Però quel sentire morbido, sospeso tra amore, melancolia, sensualità in odore di discomusic e francesismi in minore, rimanda anche alla sagoma barbuta di Sebastien Tellier. “Deadly Valentine” e “Sylvia Says” sono i momenti più estroversi: electro pop e aperture melodiche. “Rest” e “Ring-A-Ring O’Roses” gli fanno da contraltare con quell’intimismo barocco che conosciamo. E poi, nelle tracce finali (sembra di spoilerare, tanto è cinematografico) il dolore ispessito cavalca in progressione gli umori disco-funk di quasi quaranta anni fa. La leggerezza fuori e l’epica dentro.

D’accordo, la protagonista di Rest usa i tanti ingredienti che porta in dote, questo è vero. Ma gli ingredienti non si traducono in risultato da soli. E se fosse proprio questa la cifra personale della Gainsbourg? Paul McCartney e de Homem-Christo, entrambi della partita, non garantiscono nulla da soli, no? Qui tutto è davvero nelle mani di una che ha la sua forza nell’unire e connettere mondi, linguaggi, persone, artisti ed epoche. Allora diventa difficile fare un appunto su qualche eventuale mancanza di personalità. Suonerebbe pregiudiziale a fronte di un disco come “Rest”, misurato e coeso senza essere prevedibile. Un lavoro che mostra la patina insieme alle ferite. Magari Serge Gainsbourg e Jane Birkin hanno “semplicemente” fatto una figlia. Che a sua volta si è fatta capolavoro.

85/100

(Marco Bachini)