TYLER, THE CREATOR, “Flower Boy” (Columbia Records, 2017)

Tyler the Creator arriva al quinto album ed attua una svolta radicale alla sua visione della musica. No, non è vero.
Quella che in tanti dipingono come ‘svolta’ nei temi e nelle produzioni di “Flower Boy”, ultimo lavoro rapper losangelino, non è che una finalmente arrivata maturità.

Il grido di libertà, essenzialmente di essere sè stessi in ogni momento, non è una grande novità per Tyler o per chi lo segue, anzi è stato il leitmotiv della musica, delle interviste e di ogni apparizione pubblica del leader dell’ormai defunto collettivo Odd Future.

Certo i momenti in cui Wolf Hailey, il doppelganger di Tyler, prendeva il controllo della situazione sono stati (quasi) superati, ma parlare di una reale ‘svolta’ sarebbe come essere convinti che il nostrano Lindo Ferretti abbia tradito chissà quali ideali nel corso della sua vita, e non che li abbia trattati in maniera più … ‘adulta’.

Musicalmente, il punto da cui “Flower Boy” riparte è da dove c’eravamo lasciati: quel “Cherry Bomb”, diamante grezzo in cui hip-hop, r&b, elettronica e suoni sinfonici si incontravano (o meglio scontravano). Due anni dopo troviamo un Tyler -autore di tutti i brani- molto più consapevoli dei propri mezzi, scegliendo meticolosamente i featuring (con vecchie conoscenze come gli amici Frank Ocean o A$ap Rocky, la cantante Kali Uchis e Lil Wayne, ma anche Jayden Smith o Estelle) producendo deliziosi beat jazzy in cui rap e melodia r&b si sposano perfettamente nel narrare i tormenti della giovane superstar.

I testi infatti rappresentano il punto focale di questo disco, in cui Tyler si racconta, si confessa ed esprime le proprie paranoie, insicurezze e la sua ‘presunta’ omosessualità. Già, perchè Tyler confessa di ‘baciare ragazzi bianchi dal 2004’ e ripetutamente fa accenni alla sua identità sessuale, nascosta e tormentata.

Allora, Genius alla mano, andiamo a cogliere i momenti più importanti di “Flower Boy”: l’insicurezza; verso sè stesso, la musica, il proprio Paese, come viene espresso già nell’iniziale Foreward (“How many cars can I buy ’til I run out of drive?/How much drive can I have ’til I run out of road?/How much road can they pave ’til they run out of land?/How much land can there be until I run in the ocean? […] How many raps can I write ’til I get me a chain?/How many chains can I wear ’til I’m considered a slave?/How many slaves can it be ’til Nat Turner arise?/How many riots can it be ’til them Black lives matter?“), del ‘be who you are’ (“Tell these black kids they could be who they are/ Dye your hair blue, shit, I’ll do it too” da “Where This Flower Blooms”), l’amore, non si quanto indirizzato e quanto idealizzato (“You live in my dream state/Relocate my fantasyI stay in reality/You live in my dream state/Anytime I count sheep/That’s the only time we make up/You exist behind my eyelids, my eyelids/I don’t wanna wake up” da “See you Again, la preferita del Creator).

Ma anche la solitudine, il tema cardine di uno dei pezzi migliori del disco, “911/Mr. Lonely”: “Five car garage/Full tank of the gas/But that don’t mean nothing, nothing/Nothin’, nothin’, without you shotgun in the passenger/I’m the loneliest man alive/But I keep on dancing to throw ’em off“.

Non mancano gli episodi in cui la vena creepy/casinista di Tyler esplode: il singolo che ha anticipato l’uscita del disco, “Who Dat Boy” con l’amico A$ap Rocky, e il bangerone “I Ain’t Got Time!”, in cui compare proprio la già citata confessione della propria omosessualità, uno dei più potenti e sorprendenti coming out del mondo della musica pop contemporanea.

Sicuramente l’aspetto prevalentemente narrativo dell’album potrà rallentare il piacere dell’ascolto per i fan italiani che non masticano troppo l’inglese, ma con un po’ d’impegno lo sforzo verrà ripagato.
“Flower Boy” è il miglior disco di Tyler, the Creator fin’ora. E tuttavia sembrerebbe che si possa puntare ancora più in alto, quindi decidiamo di non accontentarci, aspettiamo IL disco di Tyler.

83/100

(Matteo Mannocci)