La Top 7 dei video in piscina

E’ agosto, oramai siamo in pochi in città ma anche chi è rimasto a casa ha un alleato: la piscina. Luogo ameno di “intorto” o di svago, ma soprattutto di refrigerio. Qui a Kalporz abbiamo giocato a scartabellare tra tutti i video ambientati in piscina, e a scegliere i 7 che ci piacevano di più. Il risultato è in bilico tra hype, revival, classic, repechage e outsiders.
Tuffatevi.

7. The Most Serene Republic, “Oh God”

(regista: Graydon Sheppard)

The Most Serene Republic è forse una delle band canadesi del catalogo Arts & Crafts che non ha raccolto quanto avrebbe meritato, cresciuta all’ombra di Broken Social Scene, Stars e Metric. Ma il debutto con “Underwater Cinematographer” rimane una piccola gemma indie della metà degli anni 2000. “Oh God”, uno dei primi singoli, viene accompagnato da un video in cui il fuzz e la melodia sognante del brano si amalgamano alla perfezione con riprese acquatiche in piscina. Un (ormai) vecchio classico da riscoprire.

(Francesco Melis)

6. The Cars, “Magic”

(regista: Tim Pope)

“Magic” è uno dei singoloni dei Cars anni ottanta, pubblicato qualche mese prima della grande hit e lacrima song “Drive” – canzone anch’essa con video in heavy rotation sull’allora MTV americana. Il video è un classico del pop anni ottanta: il regista del brevissimo cortometraggio, Tim Pope – vera istituzione nel mondo dei videoclip musicali, con partnership artistiche con Cure, Soft Cell, Talk Talk, David Bowie – è un piccolo maestro nell’utilizzo di stili visivi ogni volta diversi, nel caso di “Magic” usa un approccio semplice, diretto, colorato direttamente speculare al brano della band americana, che con l’album “Heartbeat City” (1984), incarna alla perfezione l’universo “new wave” americano della nuova ondata di pop di formazioni come The Knack, The Romantics. Il clip di Pope cattura l’essenza letterale del testo e l’immagine dei Cars: una canzone pop con un ritornello killer sull’amore “magico” per una ragazza, che ha stregato il frontman e autore della band, Ric Ocasek. Con un effetto lowtech – una piattaforma in plexiglass – viene creata la “magia”, Ocasek cammina sull’acqua della piscina splendida – trattasi della residenza della famiglia Hilton a Beverly Hills – ed è irraggiungibile, chi prova avvicinarsi al “Dio del pop” innamorato fallisce miseramente.

(Monica Mazzoli)

5. Arca, “Vanity”

(regista: Arca & Daniel Sannwald)

“Mutant”, il disco del 2015 che segna la consacrazione del dissacrante producer venezuelano collaboratore di FKA Twigs, Björk e Kanye West, è anticipato da questo torbido videoclip che si apre tra visioni annebbiate e allucinate di una metropoli nel cuore della notte per poi trasportarci sul letto del protagonista, che ha diretto il video insieme al suo partner di allora Daniel Sannwald. La piscina e il letto sono i due scenari principali che si mischiano e si confondono in un montaggio claustrofobico che toglie il respiro e diventa a tratti disturbante. Un po’ come la traccia, una delle più forti e intense, nella carriera, ancora oggi in ascesa, di Arca.

(Piero Merola)

4. DyE, “Fantasy”

(regista: Jérémie Périn)

Esempio di come un bel video può dare (molta) visibilità ad un artista ben poco conosciuto: DyE è il nome d’arte di Juan de Guillebon, un polistrumentista francese che nel 2011 ha (ben) veicolato il suo primo lavoro, “Taki 183”, con un video di animazione di matrice teen-horror che personalmente inserii nella mia top di fine anno e che ancor oggi risulta visivamente potente. Gli elementi ci sono tutti: una bravata di quattro ragazzi che di notte si intrufolano in una piscina, la coppia smaliziata, un po’ di sex con qualche inquadratura piuttosto esplicita, la ragazza sfigata che fa l’asociale, la svolta horror. E anche se il prosieguo – circa i riferimenti cinematografici – è più propriamente “Alien”, in realtà in quegli anni il trinomio “adolescenti-piscina-sangue” richiamava ai nostri occhi la scena finale di quella meraviglia che è “Lasciami entrare” (2008). L’acqua come battesimo horror di perdita dell’innocenza.

(Paolo Bardelli)

3. The National, “Graceless”

(regista: Sophia Peer)

Una meravigliosa carriera costruita sull’apparire come tipi vissuti e allo stesso tempo sempre eleganti, con l’aria di quelli che ne hanno viste tante e che nonostante ciò conservano ancora un aspetto esteriore invidiabile: i The National personalmente li ho sempre vissuti così, come una di quelle band che se ascolti alla mia età, cioè manco trentenne, non li capisci a fondo. Nel lungo elenco di canzoni ad alto contenuto emotivo c’è “Graceless”, presa da “Trouble Will Find Me”, il cui video è una di quelle sorprese davvero divertenti, in cui Matt Berninger sembrano voler abbattere i cliché che il tempo e gli ascolti hanno contribuito a circondarli. Altro che band di splendidi quarantenni consumati dalla vita, composti, con un bicchiere di buon vino in mano: qui i The National giocano a fare gli adolescenti. Birre a volontà, castelli di gomma gonfiabili, e una piscina che polarizza il loro essere ancora dei cazzoni dall’aria quasi adolescenziale. Ma, ovviamente, filtro balck&white, smoking e scarpe lucide. Adorabili.

(Enrico Stradi)

2. R.E.M., “Imitation of Life”

(regista: Garth Jennings)

“Imitation of Life” è il singolone “pop” – in cima alla classifiche europee e giapponesi – a firma R.E.M degli anni duemila. Canzone di lancio di “Reveal” (2001) ha dalla sua un videoclip unico nel suo genere, realizzato utilizzando la tecnica del “pan e scan” : il regista Garth Jennings – già al lavoro con Robbie Williams e Blur – usa un girato di venti secondi, ripreso con un’unica e sola telecamera. Il lavoro principale è stato svolto, quindi, in postproduzione facendo un’opera di panoramica e digitalizzazione, metodo molto comune nel campo dell’Home Entertainment, per passare dal widescreen al fullscreen.
Le riprese mandate avanti e indietro – una festa in piscina ambientata ad Agoura Hills (California), con partecipante la stessa band – catturano la forte potenza immaginifica del testo di Michael Stipe : liriche, quelle di “Imitation of Life” (con un titolo ispirato per caso al melodramma classico di Douglas Sirk), composte per lo più da figure retoriche – “like a goldfish in a bowl”, “like a friday fashion show teenager” etc. – utilizzate per descrivere la “perfetta metafora dell’adolescenza” (come raccontato dallo stesso diretto interessato in un’intervista).

(Monica Mazzoli)

1. Fever Ray, “When I Grow Up”

(regista: Martin de Thurrah)

Correva l’anno 2009, era la fine degli anni d’oro della scena svedese, in un decennio in cui The Knife si erano distinti come uno dei progetti musicali, e perché no artistici, più affascinanti e originali. Nel suo ammaliante progetto solista, l’inconfondibile voce del duo, Karin Dreijer, sintetizza l’estetica decadente e oscura di Fever Ray, in questo inquietante video ambientato in una piscina autunnale, ispirato da una visione di una piscina desolata durante un viaggio in Croazia. Non il classico video, non il classico brano da ascoltare a bordo vasca. Perfetto per chi non ama il sole e sogna la Scandinavia anche d’estate.

(Piero Merola)