HAIM, “Something to Tell You” (Columbia, 2017)

Tre ragazze californiane, al secondo album, un talento capace di spaccare il panorama pop-rock mondiale e una voglia incredibile di autoaffermarsi: ecco chi sono Alana, Danielle, ed Este, più semplicemente le HAIM.
Il nuovo lavoro, “Something to Tell You”, è sicuramente uno dei dischi più originali da sentire negli ultimi mesi. Per capire in poche righe che sound c’è dietro un lavoro del genere pensate a Kim Gordon, con qualche sfumatura di Lydia Lunch e tutto questo immerso in una boutique stilosa piena di vestiti vecchi che hanno attraversato gli anni ‘60-’70-’80.
Sarà anche il grande impatto che danno nel loro modo di presentarsi, ma “Something to Tell You” è un disco che profuma ed è pieno di sorprese. Gli stili che vanno a mescolarsi sono dei più disparati: a sentire “Want You Back”, uno dei primi singoli del disco, ci si fa l’idea di un disco da sacrificare all’altare del pop, ma una volta ascoltato il lavoro nella sua integrità ci si accorge che le sfumature vanno dal dream pop, al pop più commerciale a dei ritrovati echi alt-rock.
Il disco, che esteticamente e estaticamente si rifà a Warhol, come tutto ciò che circola nel pop-rock contemporaneo, anche se in pochi danno a vederlo o lo mettono in pratica con intelligenza, è sintetizzabile in una frase dell’artista: “Avevo tanti impegni, ma ho deciso di stare a casa a tingermi le sopracciglia”.
Perchè alla fine le HAIM sono esattamente così: proprio come quando avresti mille cose da fare, come un lavoro da mandare avanti, uno zaino da portare fino a scuola o dei libri da caricarsi tra le mani per andare a prendere l’ennesimo quasi 21-22-23 in Università, ma alla fine decidi di rimanere seduto e immobile sul tavolo in cucina a fare colazione, dove l’unica cosa sensata è spalmare burro e marmellata su una fetta di pane.
Come la prendereste se ad un certo punto Jo Nesbo o Camilleri, presi da un raptus cominciassero a scrivere di artisti, colori e strane storie popolari? L’effetto nell’ascolto del disco è lo stesso, straniante ma assolutamente non straziante, pezzi come “Found It Silence” andrebbero capiti a fondo, visto che sono un esempio brillante di come nel 2017 si scrive una canzone leggera senza scomodare nessun idolo antico o cercando di fare l’alternativo, l’anticipatore dei tempi.
La famosa voglia di rompere le regole non è altro che la più snervante delle regole, per questo c’è bisogno della grazia californiana per apparire punk, ma sentirsi glamour.
Le Haim e il loro disco stanno bene nella nostra epoca, la loro leggiadria è perfettamente visibile nella loro capacità di adattarsi ai vari sound che ci hanno proposto durante il disco. Ha vinto Darwin, ancora una volta, infatti il secondo lavoro del trio è un trionfo di evoluzione personale e musicale, ha vinto Andy Warhol che ha dato dignità ai prodotti pop e alle sfumature della contemporaneità, hanno vinto le Haim che hanno preso tutto questo e, affogandolo per bene in un punk interiore e personale, hanno plasmato un unicum sonoro e commerciale.

82/100

(Gianluigi Marsibilio)