PETER SILBERMAN, “Impermanence”, (Transgressive, 2017)

“Impermancence” è il primo lavoro solista di Silberman, conosciuto con i suoi The Antlers, uscito lo scorso 24 Febbraio e distribuito in Europa da Transgressive.
Consta di soli sei brani per una durata complessiva di 36 minuti, ma rientra di diritto nei piccoli diamanti “sotto i 40 minuti”.
Se infatti è inevitabile già dal primo ascolto individuare uno spirito guida che risponde al nome di Jeff Buckley, è altrettanto autentica la sensibilità e l’intimità delle quali il cantautore brooklyniano si spoglia per infonderle in ogni brano.
Prodotto insieme a Nicholas Principe ed Andrew Dunn, è un album che scruta il mondo e le sue domande, alla ricerca di prove come canta in “Karuna”, ma anche di fedeltà e destrutturazione che passano per la scelta di registrare con tecniche che danno un sapore da home records, che trasformano così il silenzio in fruscio ed il risultato è meravigliosamente tremolante e senza spina dorsale come solo una musicassetta saprebbe fare di “Maya”.
Peter raggiunge l’apice di questa operazione con “New York”, primo singolo estratto, che canta del tentativo di isolare ed eliminare i rumori cittadini della Big Apple uno per uno, e stupirsi di “ascoltare NY come non l’ha mai sentita“.
La struttura dei brani non è particolarmente complessa, l’asse portante è costituito dalla simbiosi voce chitarra, ciò che emerge è la posizione dei suoni e delle note, messe sottopelle tra fiati e accenni di gospel che danno corpo a tematiche di non violenza come in “Ahimsa”.
A chiudere il disco c’è la strumentale title track “Impermanence”, un distonico e drammatico piano conduce in accomodanti atmosfere oscure, per concludersi con una serie di frequenze e rumori.
Silberman è riuscito a confessare delle emozioni al suo pubblico ed ha composto sei canzoni che fermano il tempo e lo rimodulano, senza abbandonare la sua epoca e senza alzare la voce. Un esempio di come usare con umiltà le proprie doti per raccontare le fratture umane.

75/100

(Francesco Fauci)