Verdena + Jennifer Gentle, Velvet, Rimini, 27 febbraio 2015

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Nuovo tour per i Verdena: Buona la prima.

Partiamo da qui, con i dati oggettivi ed inconfutabili della serata.
Ventisette canzoni in scaletta per più di due ore di musica.
Duemila prevendite bruciate in meno di un mese e duecento biglietti alla porta dalle venti (e magari già bruciati a quell’ora).
Ovvero il tempio del rock alternativo riminese esaurito in ogni ordine di posto.
Una band, aggiungo io ma è de gustibus, all’apice della creatività proprio in questi anni dieci.

Al warm-up della data del Velvet provvede un ensemble padovano attivo sin dal 1999 e che ha ospitato più volte nei suoi lavori i fratelli Ferrari, i Jennifer Gentle. Già dal sound acido ed elaborato dei cinque ragazzi sul palco (di cui un paio polistrumentisti) capiamo che sarà una serata per cuori impavidi ed appassionati del rock tutto.
Una proposta interessante la loro, non per nulla sono stati il primo gruppo italiano ad incidere per la Sub Pop, con “Valende” del 2005 che forse resta il loro apice. Strettamente legati all’universo freak di Syd Barrett e degli artisti raccolti nei vari Nuggets, Marco Fasolo e i suoi si inseriscono purtroppo in una situazione in cui l’altalena di ritmi e suoni da loro elaborata passa alle orecchie del fan italiano medio là sotto senza troppo rimanere o colpo ferire (“Nothing Makes Sense”, per citarne un pezzo di bravura). Dispiace che non ci sia l’attenzione che meritano e ci piacerebbe senza dubbio rivederli in un posto più intimo, dove il vociare non si riveli così influente in sede di valutazione. Ovvio, il mio è il ragionamento di chi si trova, a dieci minuti dai Verdena, in pieno centro pista e in mezzo a diavoli pronti a impazzire di lì a poco.

Un boato accoglie infatti “Ho Una Fissa” e le sue chitarre heavy. Il pubblico inizia a muoversi come un mare grosso, che diventa vera burrasca con “Un Po’ Esageri”. Ecco, il primo appunto negativo che posso fare ai Verdena è di aver creato questo (piccolo) mostro, “Stai sulle rocce”, che ripetuto dalle labbra di fan giovanissime e scatenate suona un pochino insopportabile. Una nota di colore che ci porta a una doppietta ben più rappresentativa dell’ultimo disco “Endkadenz Vol.1”: “Diluvio” e “Puzzle”, strade labirintiche, condotte da un pianoforte di stampo lennoniano per poi crescere in finali entusiasmanti. Nel mezzo il primo ripescaggio da “Wow”, “Loniterp”, che mi ha ricordato nell’assalto sonoro e nella reazione del pubblico intorno a me quando, sempre qua al Velvet, assistetti ai concerti di Editors e Interpol nel loro momento di grazia, ormai dieci anni fa.
Con “Derek” è di nuovo pogo sfrenato, e qui fonte d’ispirazione è l’hard-rock californiano di primi anni novanta, quello di Kyuss e Jane’s Addiction. Tornano i Beatles in “Per Sbaglio”, mentre i Floyd si fondono ai Black Sabbath per “Non Prendere L’Acme, Eugenio”, così che anche l’album “Requiem” del 2005, a mio avviso il più derivativo e meno interessante del lotto, entra di prepotenza in gioco.

“Canos” e in particolare “Trovami Un Modo Per Uscirne” (dove la voce dei duemiladuecento sovrasta quella di Alberto, e non sarà un caso isolato) smorzano i toni e uniscono in un abbraccio morosi di una vita, coppie di fatto e ragazzi semplicemente alticci o da evento; per mezzora sento solo questo e me ne lamento, non per nulla la brava collega Elisabetta ha avuto la stessa sensazione nel suo diario di viaggio. Di pezzi come la catartica “Inno del Perdersi” e “Vivere di Conseguenza”, meravigliosa e battistiana, mi giunge a malapena la voce di Alberto, perché qualcuno ha deciso che non se ne fa nulla se non c’è una batteria veloce e il chitarrone che sconquassa l’aria e tutti che cantano in coro.
Ok. Sono della teoria del vivi e lascia vivere. Hai pagato e hai il diritto di passarti il concerto come cavolo vuoi. Ma non credo sia giusto rovinare quello degli altri, e la prossima volta spero che pagherai il doppio del prezzo così magari te ne stai a casa a fare la trottola. Sfogo necessario, un live di questa importanza capita di rado dalle mie parti, soprattutto per uno che crede che essenza della musica e destino della persona sfocino l’uno nell’altra.
“Scegli Me” e “Muori Delay” mettono però tutti d’accordo, sono la pace dei sensi, i mondi antitetici della ballad alternativa e dello stoner-rock degli outsiders. “Rilievo” chiude con un chorus da brivido la parte ufficiale di concerto, e lo ricordo a chi ha opinioni differenti dalle mie: “Capterò bisogni immobili/più distante sarò/e tu lo sai non serve mai/ci resti in me/bene anche senza lacrime/cos’è rimasto in più – se navighiamo all’ingiù/cos’hai da ieri non so”

Il bis è quasi un’altra mezzora di ottime vibrazioni, passando dalla melodia pop e sognante di “Nevischio” per finire con la dark-wave da fine del mondo di “Funeralus”. In mezzo la gioia degli storici del gruppo bergamasco e degli habitué del Velvet Club & Factory, si salta ed urla con “Luna” e “Ovunque” dal primo omonimo album, di cui quasi tutti ricordano l’uscita con emozione. Questa cosa di non fare “Valvonauta”, come i Radiohead che non fanno “Creep”, la capisco poco ma tant’è. “Spaceman” o qualche estratto da “Solo Un Grande Sasso” ci stava: inni di gioventù (bruciata?). Ma non è sede questa per lamentarsi troppo.

Si è trattato di un evento importante e riuscito, con i minimi difetti da esordio di tour, in particolare la voce e il basso sovrastati dal resto. E che siano già mainstream o no, mi importa ancor meno. Importa la risposta di gente con grande voglia di condividere parte della propria vita, notabile dai tanti video che ho scelto di buttare in questo articolo. L’orgoglio che fanno provare a chi li ascolta e l’essersi sentiti parte di qualcosa di grande in una fredda notte di pieno inverno. Questo conta.

(Matteo Maioli)

3 marzo 2015