SAVAGES, “Silence Yourself” (Matador, 2013)

Savages_-_Silence_YourselfSi potrebbe obiettare subito che non ha molto senso ascoltare l’ennesimo quartetto inglese di revival new wave. Del resto dall’inizio del secolo tutto ciò di britannico che si è fatto passare per indie ha avuto le radici nella ripresa dei motivi classici della tradizione post-punk anni Ottanta. Oppure che i riflettori su di loro sono solo una questione di “genere”. È vero, forse si parlerebbe meno di loro se fossero il classico gruppo con frontman al femminile e altri due o tre efebici con frangette all’accompagnamento. Ma, queste quattro ragazze da Londra non sembrano l’ennesimo stucchevole fenomeno da baraccone inglese degli ultimi anni. Iconografia Eighties a partire dalla copertina e titolo perentorio: “Silence Yourself”, che suona come il nostro “Taci”.

Esistono dal 2011, solo ora escono fuori con un LP e hanno già suonato al Coachella. Per inciso, Jenny Beth, energica vocalist, è francese, al secolo Camille Berthomier. La sua voce ricorda immediatamente quella di Siouxsie, e non solo la voce. Gli altri tre maschiacci sono Gemma Thompson alle chitarre, Ayse Hassan al basso e Fay Milton alla batteria. Mood da ragazze interrotte, ma ci danno senza fronzoli. Le coordinate della loro proposta musicale vanno dalle mitiche Slits fino ad arrivare ai Gang Of Four . Riff brucianti, groove in levare e chiassosi break à la Yeah Yeah Yeahs degli albori. “Husbands”, la traccia della ribalta si erge a neo-anthem di emancipazione, ha un incedere irresistibile e si schianta in fragori da giovani soniche (vedi anche “I Am Here”) .

Il disco scorre senza accorgersene, in soli trentotto minuti, tra invettive sputate qua e là, bassi spietati e schitarrate d’annata. “City’s Full” e “She Will” a primo ascolto suonano come degli outtake di lusso delle icone femminili degli Eighties. In “Strife” si sconfina nelle claustrofobie più goth degli Swans meno ostici di quell’ultimo scampolo di decennio. La sommessa e malata “Waiting For A Sign” è l’unico vero break. Chiodi che sanno di naftalina, atmosfere decadenti da dive bar di tre decenni fa e voce ammaliante. Le quattro selvagge non nascondono la loro anima riot in “No Face” che suona come un omaggio ai primi Wire. Non vi basta? Succede anche in “Hit Me” dove la Beth sbraita: “Odio quando le donne sono trasformate in vittime”.

Insomma, bisogna essere proprio sprovvisti di spina dorsale per restare indifferenti alle Savages.

81/100

(Piero Merola)

15 maggio 2013

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