THE FLAMING LIPS, “The Terror” (Bella Union, 2013)

the terror Un ossimoro, una fregatura, una gigantesca presa per i fondelli attuata con la piena consapevolezza che chi comanda sono sempre loro. Wayne Coyne e soci tornano con un full lenght a quattro anni da Embryonic, il disco della rinascita almeno da un punto di vista strettamente concettuale: via dallo stereotipo e dall’immagine che, gioco forza, si sono trovati appiccicata per via di un percorso pop che stava pericolosamente entrando in un tunnel senza uscita. Un ritorno a battere le strade che li hanno portati in alto, che dopo l’ubriacatura coriandolesca si rischiavano di sacrificare una volta per tutte, e che invece vengono riprese per imporsi di nuovo come sperimentatori senza compromessi. A modo loro, certo. Benedetta sia la necessità di tornare a sentirsi padroni del proprio destino, senza paura di alienarsi fette di ascoltatori per cui i Flaming Lips devono rimanere quella roba lì.

Un ossimoro, si diceva. Già, perché un titolo del genere spiaccicato su una copertina dalle tinte cromatiche caldissime è già un manifesto programmatico di per sé. Vi freghiamo, noi vi abbiamo avvisato: avvicinatevi se ne avete il coraggio. Gli eroi di Oklahoma City sono così, prendere o lasciare: possono indugiare gigioneggiando fino allo sfinimento e decidere di disorientarti completamente senza chiedere il permesso. E “The Terror” rientra nella seconda categoria, quella che Embryonic ha riaperto in grande stile. Il percorso prosegue, la difficoltà di addentrarvisi è ancora più calcata. La forma canzone quasi non esiste, qui si tratta di partire da singole melodie o da un loop e addobbarli di quanti più elementi possano concorrere a renderli un piccolo mosaico indipendente da tutto il resto. E, in tal senso, programmatica lo è realmente “Be Free, A Way”, che dichiara il bisogno di sentirsi liberi da qualsiasi schema preimpostato ma soprattutto imposto. I pezzi spaziano tra una dimensione spaziale scura come non mai e mantra sussurrati: i punti di riferimento e le indicazioni sono vaghe, l’effetto è più che mai disturbante. I Flaming Lips costruiscono un labirinto che è la quintessenza della psichedelia, perché dentro a una grande varietà di suoni e idee più o meno forti non esistono appigli sufficientemente saldi a cui aggrapparsi. È un continuo fluttuare senza meta da un lido all’altro, con il supporto di una luce fioca che non riconosce le superfici. Quello di “The Terror” è un microcosmo indefinito e indecifrabile, dove tutto è potenzialmente libero di prendere la forma che decidiamo di dargli noi stessi. La sostanza c’è, seppur dannatamente difficile da maneggiare, ma se fosse stato semplice come si vorrebbe avremmo faticato a credere che provenga da una band assai fuori dall’ordinario. E il senso di smarrimento che si prova ascoltando questo disco è decisamente la miglior testimonianza di quanto siano tornati a fare sul serio, riaffermandosi come pionieri di una continua ricerca di una via alternativa. Giù il cappello ma soprattutto la visiera: qui si viaggia per davvero senza la bussola.

70/100

(Daniele Boselli)

25 aprile 2013

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