BETH ORTON, “Sugaring Season” (Anti, 2012)

Dolcissima Beth. Mi innamorai di lei quando i Coldplay calcarono il piede per la prima volta sul suolo italico. Si, avete letto bene, un giorno nemmeno troppo lontano, luglio del 2000, al Castello Scaligero di Villafranca avvenne quello che in realtà dovrebbe essere la regola; i Coldplay a fare da spalla ai grandi artisti. Tra l’altro (maledizione però) manco li vidi nel loro sbocciare, perché troppo intento a bere Martini (che giovane di classe) e fumare erba. Quel giorno i Marlene Kuntz (Chris Martin dopo quel concerto si professò fan dei piemontesi) presentarono l’album “Che Cosa Vedi”, le Sleater Kinney infiammarono l’imbrunire della sera e la bella inglesina (di Norwich), avvolta da luci verdi, portava in giro “Central Reservation”. Inutile dire che fu amore a prima vista e che ho seguito i suoi passi fino ad oggi, fantasticando di imparare bene l’inglese per potergli un giorno dire che avrebbe potuto diventare il mio angelo custode (Polly Jean Harvey sarà sempre il diavolo).

Sei anni separano “Confort of Strangers” prodotto da Jim O’Rourke al nuovo “Sugaring Season” ed in fondo non è cambiato nulla. D’altronde cosa potrebbe cambiare quando la linfa vitale che scorre nelle vene di questa splendida folk singer distilla la poesia di Joni Mitchell e arriva ad espandere quello che il povero Nick Drake abbozzava nelle sue ballate senza tempo? L’incanto di questo quinto lavoro sta proprio qui, nel tempo che si è fermato, perché non ha bisogno di rincorrere le mode che nei primi dischi erano un modo pur sempre apprezzabile (e riuscitissimo direi) di contaminare il folk.

Oggi la maturità regala all’artista la consapevolezza che la bellezza ha bisogno solo di un po’ di vento; lo stesso che in autunno porta in giro le foglie dai colori accesi che si depositano sulle strade che calpestiamo ogni giorno. Lo stesso colore caldo lo regalano “Dawn Chorus”, “Poison Tree” , “Something More Beautiful” e le altre sette foglie (pardon, canzoni) che calpesteremo sempre volentieri. Perché per fortuna di poesia ne è ancora satura l’aria.

70/100

(Nicola Guerra)

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *