AGUIRRE, “Aguirre” (autoproduzione, 2011)

Sono passati quasi due secoli dall’Italia descritta con sarcasmo ne La ginestra di Giacomo Leopardi: una terra scissa in regni, ducati e stati pontifici, impantanata nel “secol superbo e sciocco” e ammaliata senza troppa convinzione delle “magnifiche sorti e progressive”. Una descrizione che si adatta alla perfezione anche per quel che concerne l’Italia del 2011, aggrappata con le unghie a termini e ideologie di cui non scalfisce altro che la misera superficie, con gli occhi fissi sul burrone culturale nel quale sta inesorabilmente precipitando. Una nazione che è “post senza essere mai stata niente”, parafrasando i CCCP – Fedeli alla linea, e che appare ben lontana dal rintracciare le coordinate di un percorso in grado di elevarla dallo stato di degrado che la contraddistingue. Come spesso accade in situazioni storiche e sociali di questo tipo, coloro che dimostrano il coraggio di rischiare accettando di ricoprire un ruolo di resistenza attiva nei confronti dello sfascio della cultura guardano con malcelato sdegno in direzione di tutto ciò che rientra nei canoni predefiniti del popolare. Un’azione che rischia di scollegare pericolosamente l’artista dalla realtà sociale nella quale si trova a operare, rinchiudendolo in un eremo magnifico quanto sterile.

Non si lascia avviluppare dalle spire di questo serpente tentatore Aguirre, creatura neonata della scena musicale romana, ma con alle spalle una storia piuttosto interessante: a capo del progetto vi è infatti Giordano De Luca, da anni impegnato in ipotesi musicali fino a questo momento destinate ad arenarsi prima dell’approdo in sala di registrazione. Alcuni dei pezzi che compongono il primo vagito della band capitolina, come “Primitivo mostro”, “Il sogno del malato” e “Il navigatore”, circolavano già in altre versioni sia in sparuti ed episodici live sia sulla pagina myspace di De Luca. Per un piccolo nucleo di persone, dunque, la novità rappresentata da Aguirre è solo parziale, anche se tale considerazione non attenua minimamente il senso di sorpresa rilasciato dall’ascolto delle undici tracce che compongono l’album. Perché se la musica di Aguirre può apparire a un primo, distratto ascolto, come un classico pop-rock innervato da testi surreali, in realtà ciò è vero solo da un punto di vista prettamente superficiale. Non tragga in inganno l’incipt de “Il sogno del malato” (singolo di lancio che apre anche la track-list ed è accompagnato in rete dal bel videoclip diretto da Eugenio Barzaghi), con la sua produzione levigata e la granitica solidità strutturale: come seguisse l’umore ondivago del suo cantante e tastierista – anche autore di tutte le musiche e dei testi – l’album si sviluppa seguendo percorsi inattesi, deviazioni improvvise, accelerazioni e frenate. Già “Primitivo mostro”, dopo un brevissimo intro tra il circense e l’elettronico, si lancia in una corsa power-pop-punk condita da coretti sullo sfondo e da un testo che prima scaraventa sull’ascoltatore un vero e proprio manifesto d’intenti (“Sorgo dalla sozza fogna/puzzo ma non ho vergogna/sono destinato a stare/immolato sulla gogna”) e poi rallenta in un ritornello melodrammatico e intenso, preludio a un finale epico, con chitarra liquida e voce sospesa che appare come lo specchio rovesciato della dichiarazione iniziale (“Io così ignorerò la messa a punto di un inganno”). Ma l’inafferrabile spleen di De Luca devia ulteriormente dal sentiero con la seguente “Fantasma”, fotogramma irrequieto e pacificante allo stesso tempo che immortala un totale annullamento di se stessi (“quando ti specchierai non ti rivedrai” e “È morta e non lo sa”). Nella sua folle e geniale idea di mescolare new wave, pop e psichedelia a barrettismi e respiri di Battisti e Battiato – dal vivo, non a caso, viene eseguita una convincente cover di “Una cellula” – la band travolge il suo uditorio con trascinanti inni (“Dritta/storta” e soprattutto “Lorna”, omaggio a Russ Meyer che si traduce in un vero e proprio pestaggio musicale destinato a deflagrare nel melanconico orgasmo evocativo del titolo), per poi concedersi pause riflessive dalle quali sorgono brani lirici e trattenuti come “Il navigatore”, pinkfloydiano volo libero in cui trova la giusta glorificazione l’ottimo lavoro di produzione e arrangiamento di Stefano Switala, impegnato anche con chitarra, tastiere e synth.

In un contesto generalmente di assoluto livello, sintesi rara e sorprendente di competenza musicale e gusto per la melodia, spiccano tre brani destinati a ergersi come simboli di questo scintillante esordio: “Pecora in delirio” replica il gioco sulla libera interpretazione di tempi e stili trascinandolo fino alle estreme conseguenze, tra urla belluine che anticipano il nitore abbagliante di un ritornello destinato a conficcarsi nel cervello (“Collera di Dio, dottrina dello Stato non ne hai…”); “Condivisione” fa atterrare l’album su un territorio lunare, con la voce filtrata che arriva da un altro spazio e il pianoforte a prendere presto il sopravvento, come se riflussi cosmici cercassero sposalizi inattesi con il cantautorato nostrano; “L’ammiraglio azzurro” sembra da principio volersi muovere nella medesima direzione, pur con una consistenza sonora meno eterea, tappeto musicale tutt’altro che pacificato su cui si stende la voce di De Luca, fino alla morte e rinascita della canzone sotto le vesti di feedback e riff tra il sonico e il krauto, viaggio psicotico lungo cinque minuti nel quale perdersi, annichiliti e sovrastati da rimbombi, clangori, fruscii in lontananza.

A riportare sulla terra l’ascoltatore dopo tanta perturbazione sonora giunge dunque la breve coda acustica di “L’hai detto”, che chiude un esordio che sarebbe davvero criminoso snobbare o lasciare nell’ombra, nonostante sia rintracciabile solo attraverso l’acquisto online. Giordano De Luca, coadiuvato dal lavoro di Stefano Switala, Martino Cappelli (chitarra), Alice Salvagni (basso) e Davide Switala (batteria), ha finalmente trovato la sua dimensione, dopo anni di tentativi, prove, indecisioni e dubbi. E se è vero che “se una cosa è, deve essere”, allora siamo davvero solo all’inizio del percorso.

75/100

(Raffaele Meale)

3 gennnaio 2012

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