Con imperdonabile ritardo prendiamo nota di uno dei migliori album non italiani realizzati da un gruppo italiano nel 2009 (insieme probabilmente al secondo lavoro dei Gazebo Penguins). I Did sono torinesi e il loro album d’esordio, registrato tra Bologna e Torino con l’aiuto di Bruno Germano, prosegue con stile e intelligenza sulla scia di proposte italiche della stessa acidula pasta, basti pensare ai maestri Disco Drive, ai Trabant, per non dire poi dei Don Turbolento o dei Tiger! Shit Tiger Tiger.
Con il loro background da balera metropolitana sotterranea per anime scosse (quando non apertamente psicotiche), i Did aggrovigliano nelle undici tracce del loro agilissimo dischetto un punk-funk (detto anche phunk) stordito e balbettante, che macina !!!, Q and Not U, Liars, Rapture e Crsytal Castles in un delirio discoinfernale alla benzedrina, infarcito di sfrigolante siderurgia electro-industriale, tribalismo suburbano primitivo e tambureggiante, coretti plasticosi finto ebeti alla Devo-Sparks e un vago concettualismo astratto neoberlinese, in odore di D.A.F. o Liquid Liquid (che però sono di New York ma fa niente).
Ma, al di là dell’eclettismo più o meno voluto, quello che lascia il segno sono senz’altro le canzoni. Da “Time For Shopping” fino a “Sex Sometimes”, passando per le abrasive “BreakDance” o “Ask U2”, i quattro piemontesi decostruiscono e metabolizzano con il loro piglio sessualmente acuminato e al contempo cervellotico trent’anni di sculture e patchwork febbrili scalpellati nel groove più contundente.
E quello che alla fine ottengono è un’enorme budino danzante traslucido nel quale è un piacere inconfessabile essere inghiottiti. Da tenere d’occhio.