MICHAEL ARMSTRONG, Rockabye Baby! Lullaby Renditions Of Radiohead (Baby Rock Records, 2006)

L’idea è di quelle grandiose, uovo di colombo per la semplicità ma gallina dalle uova d’oro per i risultati. Quella di trasformare in ninna nanne con glockenspiel, vibrafoni e altri gingilli le canzoni di gruppi rock, con l’obiettivo dichiarato di fare addormentare il figliuolo – che in futuro sarà rocker anche lui – con il proprio idolo in versione addomesticata, non è semplicemente una trovata estemporanea… è geniale! Perché stuzzica quei padri che mettono nella culla la maglietta dell’Inter, o quelli che quando il figlio ha quattro anni li iscrivono a calcio. Crescite ben direzionate. Nel caso dei padri rock si rischierebbe di trovarsi con il papi che fa sentire a tutto volume al pupo l’originale di “Paranoid Android”, un po’ rischioso per la salute mentale del cinno.

Invece con questo “Rockabye Baby! Lullaby Renditions Of Radiohead” anche la mamma è tranquilla. Il primo paio di canzoni è perfetto: “No Surprises” sembra essere stata composta apposta per essere una ninna nanna, mentre “Let Down” è, se non l’unica, tra le poche canzoni dal piglio sollevato dei Radiohead e quindi è perfettamente suadente anche nella culla version.

Però i Radiohead sono i Radiohead, e che cavolo, ed è inevitabile che le atmosfere cambino man mano si susseguono le track, non poteva essere così facile sopprimere l’urlo doloroso di Thom Yorke. Sperando forse che il bimbo si sia già addormentato quando arrivano “There There” o “2+2=5” (che è in realtà fatta con l’inizio di “Sit Down. Stand Up”), Michael Armstrong, unico musicista e arrangiatore, lascia che da un certo punto in avanti i tintinnii ricordino più i sottofondi di un film di Tim Burton che quelli del carillon della nonna.

Tutte queste fandonie che stiamo raccontando, peraltro, sono supposizioni. Perché forse chi comprerà questo disco non lo farà per il figlio (che non ha). Come nella pubblicità del padre che promette al poppante che intanto guiderà lui l’auto regalatagli, ditelo chiaro, (futuri) babbi rock: adesso ve lo ascoltate voi “Rockabye Baby!”. Poi, quando avrete figli, nella culla subito “The National Anthem”, a manetta nella versione originale nonostante l’opposizione della mamma (moglie). E che cavolo (ancora): i Radiohead sono i Radiohead.

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