M WARD, Post War (4AD / Self), 2006)

L’universo si divide in due orizzonti: i cantautori personali e i “ragazzi con la chitarra”. Questi ultimi sono banali, non hanno niente da dire e fanno dischi vacui, uguali a loro stessi e senza mai un cenno di genialità. Gli altri sono quelli che resteranno nei cuori degli appassionati di musica. Saranno ricordati nei decenni successivi da chi c’era e da chi se li vorrà riscoprire. Vivendo negli anni zero possiamo già fare delle previsioni, e sono sicuro che gente come Sufjan Stevens, Micah P. Hinson e M Ward resterà. I loro dischi non sono dei vacui esercizi di stile, ma delle vere e proprie manne dal cielo. Prendiamo “Post War”, che di M Ward è quinto album. E’ un disco venato da un’illogica allegria, che si distingue dal torpore del bardo infelice per offrire scenari a metà tra i rock’n’roll – e sì, proprio quel rock’n’roll fatto con batteria, basso e chitarra – ed il folk autunnale più spensierato. E lo fa con una cura del dettaglio e una consapevolezza sonora (merito della sua attività come produttore artistico) che lasciano basiti. Ormai non si tratta di un nome nuovo, ma di una realtà consolidata. “Post War”, infatti, non riesce ad uscire dal lettore cd. M Ward sa scrivere canzoni bellissime che ti cullano con dolcezza e ti fanno battere il piede quando decidono di battere sul rullante. Disco da scoprire e da far insinuare con la dovuta calma. Non delude e diventa come una droga, anche solo per capirlo un po’ di più ascolto dopo ascolto.

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