ROBERT POLLARD, From A Compound Eye (Merge, 2006)

Dal 1987 al 2004 fecero uscire quasi un disco all’anno. Centinaia di canzoni, dalla rozza immediatezza dei primi tempi al pop psichedelico del nuovo millennio. I Guided by Voices si sono sciolti l’anno scorso, salutando i fan con il dvd “The Electrifying Conclusion”, live che ripercorre l’intera carriera del gruppo.
Robert Pollard non perde tempo e pubblica il suo nono lavoro in studio, “From a Compound Eye”. Otto album alle spalle, alcuni registrati in casa in un paio di settimane, tutti pressochè sconclusionati, digeribili solo dal fan terminale. Scevro da impegni, si sperava che questa volta il Pollard solista potesse dare alla luce qualcosa di interessante. così non è stato, perchè questo “From a Compound Eye” non passa l’esame.

Nonostante il numero elevato di canzoni presenti nel disco, siamo lontani dai fasti di “Bee Thousand” e dalle illuminanti melodie spezzate che costellavano quel piccolo capolavoro lo-fi. Nello stesso tempo, Pollard cerca di riavvicinarsi alla bassa fedeltà e alla sperimentazione, dimenticandosi della fortunata parentesi pop dei GBV di “Isolation Drills” e “Earthquake Glue”. Ne esce fuori un disco frammentario, ricco di brillanti idee mal sviluppate, di mediocri nenie all’insegna del già sentito e di altri pezzi quasi imbarazzanti. Il che probabilmente non è un così grosso problema, una volta preso atto della discontinuità artistica che contraddistingue anche i momenti più ispirati della carriera di Pollard. il vero problema è l’eterogeneità di queste 26 canzoni: si passa dagli accenni prog di “Field Jacket Blues” al noise di “kensigton Cradle”, dalla psichedelia confusa di “50 Year Old Baby” alla cavalcata chitarrosa di “Conqueror of the Moon”, dall’orchestrale “Flowering Orphan” al lo-fi di “The Right Thing”, che potrebbe essere stata registrata in uno sgabuzzino in compagnia di qualche cassa di birra.

Un pout pourri inutile, troppe canzoni, troppa ambizione per quella che forse voleva essere una sorta di rock opera storta in cui paradossalmente si salvano i pezzi più ingenui come la traccia d’apertura “Gold” che non fa altro che recuperare la voce eterea del passato sporcandola con lievi chitarre distorte, la frenetica “Dancing Girls and Dancing Men” e la perla “Fresh Threats, Salad Shooters and Zips Guns” che può sembrare una b-side ripulita dei tempi di “Bee Thousand” e “Alien Lanes”. Per chi ha sempre dichiarato amore nei confronti delle melodie facili dei GBV risulta difficile non apprezzare pezzi scontati, ma comunque credibili come “U.S. Mustard Company”, che scopiazza arpeggi di chitarra dei La’s più abusati. Resta però la sensazione che questo “From a Compound Eye” sia un disco di scarti di un autore sottotono, a tratti brutto come la copertina. E ce ne dispiace un po’.

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