BAND OF HORSES, Everything All The Time (Sub Pop / Audioglobe, 2006)

Un disco Sub Pop minore è comunque un disco che vale la pena ascoltare. Mal che vada, una mezz’ora di intrattenimento indie-pop disimpegnato c’è. Non tutto però è fondamentale. Come i Band of Horses, ad esempio. Band nata nel 2004 dallo scioglimento del Carissa’s Wierd che vede nelle figure di Ben Bridwell e Mat Brooke i suoi nostromi, il gruppo si preoccupa di descrivere il lato più solare dell’intimismo e i colori più tenui della fragilità emotiva con una sensibilità che pesca nel folk e nell’indie-pop e dimostra di saper dipingere con delicatezza. Una delicatezza però, che non sempre sa essere efficace. Perché per una formidabile “The Funeral” abbiamo una manciata di brani un po’ di maniera (“The First Song”, “Wicked Girl”, “The Great Salt Lake” che quasi pare un plagio degli Arcade Fire) che seppur ben suonati, perdono il confronto sullo stesso territorio con brani scritti da autori ben più incisivi come, per esempio, Zach Rogue. Insomma, per esserci del buono, c’è e “The Funeral” sta lì a dimostarlo – se fosse stata scritta dagli Shins avremmo tutti già perso la testa – e quello che veramente manca è la personalità. Si tratta di una band e di un disco che, per quello che oggi offrono, sembrano intrappolati nell’idea del suono Sub Pop, prigionieri di un sound gentile e frizzante che sa essere ficcante nella sua semplicità melodica. Verranno tempi migliori e, come scritto in apertura, possono essere un buon ascolto disimpegnato. Ma in definitiva è consigliabile passare oltre in attesa di scossoni emotivi ben più forti.

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