ARIZONA AMP AND ALTERNATOR, Arizona Amp And Alternator (Thrill Jokey, 2005)

Quest’estate mi è capitato di sentire un concerto di Howe Gelb solista. Nessun gruppo. Solo lui, una chitarra e un pianoforte. Il repertorio era incentrato sull’ultima parte della carriera dei Giant Sand, i suoi innumerevoli progetti solisti, qualche cover (l’immancabile Dylan e i Beatles) e un discreto quantitativo di standard. L’atmosfera del concerto era permeata di una delicata aurea evocativa. Gelb era stato invitato come esponente della musica americana ed è riuscito a rendere onore all’impegno suonando due ore di ottima popular music made in USA. Che scopro poi essere quella che ripropone nel progetto Arizona Amp And Alternator. Assieme ai Grandaddy, Scout Niblett, M Ward, gli stessi Giant Sand – ovvero, i danesi che si porta dietro assieme alla gloriosa sigla – l’hidalgo di Tucson mette assieme una ventina di canzoni originali – esclusa la cover dei Traffic “Low Spark of High Heeled Boys” – che respirano l’aria degli standard jazz (“Where the Wind Turns the Skin to Leather”, “Baby It’s Cold Outside”), dei primi esperimenti di musica popolare (“Man on a String”), del rag-time e del folk (i quattro incisi “AAAA”).

Disco da studiare per l’innumerevole quantitativo di rimandi cui suggerisce. Un ottimo esperimento – usiamo una parolaccia? – musicologico che conferma Howe Gelb come uno dei maggiori esponenti della nuova tradizione americana e lo propone come un fedele esegeta della vecchia tradizione. Certo, un progetto estemporaneo e collegabile alla miriade di attività parallele che hanno coinvolto mr. Giant Sand, ma assolutamente apprezzabile in quando finestra importante su un passato che sembrava sepolto e dimenticato nella furia della metropoli che non guarda mai indietro. That’s classico.

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