61 WINTER’S HAT, “Wallace Mail Series #5” (Wallace, 2005)

Il quinto capitolo delle “Mail Series” ideate da Mirko Spino – gli altri capitoli erano stati affidati ai 2partiMOLLItremolanti di Xabier Iriondo, agli EAReNOW, ai Polvere e ai Four Gardens in One – è il parto delle menti di Fabio Magistrali (uomo ovunque nei progetti Wallace e soprattutto il miglior curatore di suoni presente in Italia) e di Mattia Coletti, membro dei Sedia e dei Polvere. I due, superando un divario di venti anni e qualche centinaia di chilometri (“tra il km 350 e il 960 del litorale adriatico” come recita l’interno della confezione) decidono semplicemente di intrecciare i loro percorsi musicali. Non che questo comporti un suonare insieme nello stesso tempo: Mattia e Fabio si sono scambiati le registrazioni, hanno avuto modo di ascoltare e metabolizzare ciò che il compagno d’avventure aveva partorito e di sovraincidervi il proprio percorso, le proprie emozioni, il proprio sentire.

E se è vero che questa pratica non ha in sé nulla di avanguardista o di particolarmente innovativo è altrettanto certo che è sorprendente come i due musicisti siano riusciti a far collimare le proprie intuizioni musicali, intrecciandole con il proprio vissuto. Se non è dunque presente la convivenza, elemento solitamente definito imprescindibile per ogni registrazione basata sull’emotività, è altresì palpabile la sensazione di assistere a una “comunione d’amorosi sensi”, dove amore sta a identificare un sentire comune, la capacità di essere aperti e recettivi. Quattro tracce – nella quinta i due si presentano all’uditorio con tanto di date di nascita – che scivolano su un folk circolare screziato da piccoli rumori percussivi, sfregamenti, una batteria accennata, boati e una voce sussurrata che afferma “I Know” come nell’apertura affidata a “Life in Circular Julies”: consapevolezza che appare come arma in più per l’intero progetto.

A volte è un rumorismo angoscioso e convulso a farla da padrone (“Dismembering Novembre”), altre volte la matrice rock sembra farsi più corposa pur nello sfilacciamento inevitabile dell’improvvisazione (“Mia-Janaury’s Hat”), per tornare infine dalle parti dell’acustica gentile, campestre, sempre attorniata da rumori, sporcizie, con la voce finalmente in grado di acquistare coraggio e forza. Una musica autunnale, protettiva, forse il metodo migliore per mettersi a nudo senza tema di risultare ridicoli. Anche se Fabio Magistrali alla fine afferma “questo è il cappello migliore per i nostri freddi interiori. Se doveste conoscerne uno più efficace, fatecene partecipi”.

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