SOLOMON BURKE, Make Do With What You Got (Shout!, 2005)

Probabile che al mondo non esista niente di più desueto della musica soul, genere spazzato via dalla disco music verso la fine degli anni ’70 e soppiantanto dal rap negli ’80 e non più quindi nelle preferenze della comunità afroamericana. Da alcuni anni però si sta attuando una piccola riscoperta di questo repertorio tradizionale e delle sua sonorità, ma se il successo mainstream di questa nuova operazione è rappresentato da gente bianca come Joss Stone e Ramy Shand – Ehi! Che ci fa un dannato bianco con questa musica fottutamente negra? – la qualità toccante e le vibrazioni calde che nel passato ci hanno fatto innamorare dei pilastri storici del genere la possiamo ritrovare solo in chi, ai tempi, già c’era e ancora c’è: Solomon Burke. Già, perché nonostante si possa dire ormai appagato dal successo artistico, personale e sentimentale – insomma, si contano svariate mogli e ancora più svariati figli… non male per un pastore protestante di cento a passa chili che ha tra le sua pecche un duetto con Zucchero – il Nostro sembra essere tornato nella sua forma migliore (basta non misurargli il giro-vita) con lavori come “Don’t Give Up On Me” e quest’ultimo “Make Do With What You Got”.

Affiancato da autori di rara raffinatezza – su tutti, Dr. John (uno dei pochi bianchi che maneggia la materia negra con eleganza) nella title-track – Solomon Burke mette assieme un disco appassionante ed affascinante, dove le sfumature della sua voce si insinuano tra le caldissime trame degli strumenti. Canzoni che sono come classici che colpiscono al cuore con grazia come “It Makes No Difference”, la rock’n’roll “I Need Your Love In My Life” e “After All These Years”. Insomma, si tratta di musica morta e sepolta da circa trentacinque anni (“Otis Blue” di Otis Redding è del 1965, per dire), ma è uno di quei tesori che quando vengono riscoperti non perdono un minimo del loro fascino, del loro carisma e del loro valore. Così come Solomon Burke, che in questi anni non ha perso nemmeno una corda vocale, e la sua vecchiaia non fa che rendere la sua voce ancora più cool e ammaliante, capace di interpretare al meglio dischi che, di questi tempi, si ascoltano con un piacere sempre più immenso.

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