PAOLO BENVEGNU’, Piccoli fragilissimi film (Santeria/ Stoutmusic/ Audioglobe, 2004)

Dostoevskij scrive “L’idiota” parlando di una persona che ha sensibilità diverse, superiori. Un ipersensibile, come chi sa godere di gioie minime, come chi cerca l’imperfezione che rende vivi, e reali. Questo è Paolo Benvegnù, un’artista di sensibilità superiore: c’erano stati gli Scisma a dimostrarlo, e ora queste nuove canzoni lo testimoniano una volta di più, e con ancora più forza.

Le storie che “Piccoli fragilissimi film” racconta sono quelle di un uomo che esce dal proprio inferno privato: storie sofferte, eppure raccontate con una sincerità disarmante. È proprio qui la novità principale del disco: se gli Scisma alzavano muri di chitarre a schermare le parole di un uomo che aveva paura di scoprirsi fragile, qui tutto si distende, i suoni si fanno tenui, e il pianoforte si incarica di sorreggere confessioni intensissime, nude. La ricerca sulla parola si è fatta ancora più profonda, ma tutto tende a una semplicità che gli Scisma non sono mai riusciti ad avere: alla musica non resta che scivolare sotto liriche davvero splendide, fondendosi con esse senza disturbarle.

Il pianoforte accompagna, sottile e dolce, l’ammissione della propria debolezza (“Il mare verticale”, con il suo splendido crescendo finale dove appaiono piccole schegge di fiati), l’amore (“Io e te”, sospesa tra silenzi e preghiere, fino all’eterea coda chitarristica), pensieri su un’umanità sconsolante (“Il sentimento delle cose”). Fatta eccezione per pochi momenti, Paolo non sembra nemmeno ricordare i propri trascorsi indie, ma si riallaccia ad una tradizione cantautorale tutta italiana, ricerca la melodia e non la soffoca, ma la libera: ascoltate il finale del disco (la soave “È solo un sogno”, l’incedere lento e punteggiato dal clarinetto in “Quando passa lei”, lo sguardo assente e triste sulla fine di un amore in “Catherine”) per capire la maturazione di Paolo Benvegnù, come cantante – un miglioramento davvero notevole – e come autore. In mezzo a questi suoni pacati, la drammatica “Brucio”, con i suoi archi spettrali che mi hanno ricordato addirittura un vecchio brano di Tricky (“Tattoo”, da “Nearly God”), e lo sfogo bruciante di “Suggestionabili”stanno a testimoniare di un animo ancora inquieto, teso, vivo.

“Piccoli fragilissimi film” è ben lontano da una perfezione che forse non cerca neppure, alcuni passaggi suonano un po’ troppo artificiosi (“Fiamme”) o poco riusciti (“Only for you”), e il clima generale dell’album non è certo dei più distesi; difetti di poco conto, però, almeno agli occhi di chi scrive: al di là della gioia di aver ritrovato un artista importante, queste canzoni sanno essere profonde, commoventi, poetiche come poche altre. Sanno colpire le anime. Canzoni idiote. Ipersensibili.

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