GERMS, GI (Slash, 1979)

Los Angeles, California, A.D. 1979: il punk è IL suono. Tra i vari gruppi che danno vita alla fertile scena californiana (X, Circe Jerks, Fear, Black Flag, solo per fare alcuni nomi) fanno la loro apparizione i Germs capitanati da Darby Crash; il loro “GI” ha un effetto devastante sul popolo punk.

Quattro tempi di batteria e parte l’avventura, con i quaranta secondi travolgenti di “What We Do is Secret”. Il punk dei Germs è basato sull’impatto devastante degli strumenti, saturi, abrasivi, rabbiosi, pestati con una violenza inaudita: il livello emotivo con cui vengono vissuti i brani non ha eguali nella scena dell’epoca, con Crash che si contorce, urla, si divincola, grida la sua rabbia al mondo, la sua insofferenza al bigotto sistema americano, e lo fa con una sincerità che coinvolge e sbalordisce.

Raramente i brani superano i due minuti, come da cliché punk, ma i testi sono spesso ricercati e non si fermano alla semplice sloganistica che altri gruppi della stessa aria propongono. Basta prendere ad esempio “Land of Treason” per capire che Darby ha ben chiaro in testa ciò che ha da dire e non ha nessuna intenzione di semplificare il discorso. Tra la durezza dei brani e veri e propri inni all’autodistruzione si affacciano rimandi al rock’n’roll – come la splendida “Richie Dagger’s Crime” -. “American Leather” si interrompe improvvisamente sul più bello mentre “Lexicon Devil” gioca la sua forza nella fusione fra chitarra, basso e batteria.

Il manifesto del disco (e della band) è senza dubbio “Manimal”, crudele, aspra, gonfia di rabbia irrefrenabile, con Crash che si mostra in tutto il suo furore. Un furore che non ha nulla di falso, nulla di patinato, nulla di costruito a tavolino – al contrario delle bizze da rockstar dei Sex Pistols -, ma che è semplicemente il furore di chi ha sempre vissuto un’esistenza ai margini, senza una possibilità di evadere dalla realtà di droga e violenza che nell’ambiente suburbano delle grandi metropoli come Los Angeles è all’ordine del giorno.

C’è chi si lascia sopraffare e chi cerca di sfogare questa violenza in musica: e tra questi c’è anche chi, come i Germs, riesce a suonare e comporre ottima musica. Senza per questo però riuscire a purificarsi completamente: poco tempo dopo l’uscita di “GI” l’eroina arriverà a portarsi via Crash, innalzandolo ad icona di una generazione. Agli amanti della musica resterà la frastornante irruenza tragica di “We Must Bleed” (“The pain…the colors…making me sane”), la fascinazione decadente di “The Other Newest One” e i quasi dieci minuti di follia di “Shut Down (Annihilation Man)”, nei quali l’ossessività del basso e i frastuoni di chitarra (suonata da Pat Smear, futuro membro dei Nirvana di Kurt Cobain) la fanno da padroni, insieme a folli accenni di tastiere e ad una batteria catatonica. Una sorta di marcia funebre punk, degna conclusione dell’album.

Resterà questa l’opera unica dei Germs, anche se ora è possibile trovare tutte – o quasi – le loro incisioni, EP compresi, nel cd “(MIA) The Complete Anthology”, unico prodotto reperibile sul mercato ufficiale a loro nome.

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