ARAB STRAP, Monday at the Hug & Pint (Chemikal Underground/ Audioglobe, 2003)

Gli Arab Strap giungono al sesto disco, e ancora una volta ci troviamo ad ascoltare un album a tema, come già era stato per “The red thread”: se a farla da padrone, in quel caso, erano sesso e relazioni sentimentali disastrose, qui l’azione si svolge in un pub immaginario, lo “Hug & Pint”, un set ideale dove narrare le storie degli avventori di questo locale.

Le canzoni rispecchiano tutte le varie tipologie di persone che ti aspetteresti di incontrare in un pub: c’è quello solitario, quello timido, quello rancoroso, quello che sta per crollare dopo l’ennesima pinta di scura… insomma, un immaginario tipicamente scozzese, ibridato con le “Mosche da bar” di Bukowski e le depressioni insanabili alla Joy Division (per le atmosfere ricreate, ma non nelle sonorità, sia chiaro).

Per meglio raccontare queste diversità, anche la musica passa con disinvoltura da un genere all’altro, rimanendo per miracolo sempre riconoscibile, rendendo impossibile definire, se ce ne fosse il bisogno, il genere suonato dagli Arab Strap. Ascolti l’iniziale “The shy retirer”, il momento migliore del lotto, e sei già pronto a salutare una svolta indie-tronica (ma se suonassi nei Notwist starei già gridando al plagio); poi però comincia a rigirarti in testa il termine post-rock, e quando ti sembra di avere trovato una chiave di lettura il duo cambia di nuovo le carte in tavola: “Fucking little bastards” (ma che eleganza…) vira verso il noise come mai in passato, “Who named the days?” è talmente indolente da sembrare cantata da un Lou Reed appena alzato dal letto, “Loch Leven intro” è addirittura smaccatamente scottish folk!

Meglio rinunciare alle definizioni, e cercare di abbandonarsi nelle trame narcotiche di queste tredici canzoni: non è facile per chi ascolta, però, ‘ché di mostrarsi un po’ meno lagnosi gli Arab Strap non ne vogliono proprio sapere. Insomma, non si può dire che la musica del duo scozzese non sappia a tratti affascinare, e non si può non apprezzare l’idea peculiare di pop che stanno portando avanti; resta da capire come, nonostante la grande varietà stilistica, non si riesca ad arrivare a fine album annoiati e molto prossimi ad un colpo di sonno.

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