JETHRO TULL, Aqualung (Chrisalis, 1971)

Nell’anno di opere quali “Nursery Crime” dei Genesis, “In The Land of Grey and Pink” dei Caravan, “Pawn Hearts” dei Van der Graaf Generator e altre – dunque in tempi di pieno fermento progressivo – i Tull offrono il loro contributo forse più riuscito, certamente il più equilibrato. Il quale, a detta dello stesso Anderson, non è un vero concept-album, bensì un insieme di canzoni legate da un comune ambito tematico di polemica religiosa. “Aqualung” porta a compimento il percorso musicale del gruppo, realizzando uno stile progressivo privo di magniloquenza strumentale, piuttosto essenziale nelle linee portanti, ma spesso dotato di acuminata incisività.

Come nell’attacco del brano eponimo, uno dei più notevoli riff chitarristici della storia del rock, solitario e tagliente come una lama ed elemento portante di tutta la canzone: ‘una chitarra nel buio’, si potrebbe definire. La voce di Anderson è potente e graffiante nelle parti iniziale e finale, in primo piano, mentre nella classica pausa centrale giunge di lontano, filtrata, creando un bel contrasto. Se qualche critico facilone parla di semplice folk-rock sono fatti suoi: forse che non può esistere rock progressivo fondato soprattutto sulle chitarre? Ma basta considerare la struttura di pezzi come, appunto, “Aqualung”, oppure “My God” o “Wind-up”, per accorgersi sùbito di quale musica si tratti.

Dopo il brano d’apertura, con testo della moglie di Anderson, troviamo “Cross-eyed Mary”, uno dei capisaldi dell’album; un inizio di flauto introduce ad un brano imperioso nel ritmo e nella voce, dai toni aspri. “Cheap day return”, per voce e chitarra acustica, è gradevole ma assai breve. “Mother Goose” è invece pezzo paradigmatico della fusione fra folk e progressive. “Wond’ring aloud” è sorella di “Cheap…”, ma qui abbiamo anche un leggerissimo accompagnamento di archi, come sempre opera di David Palmer. Basso, pianoforte e flauto dominano “Up to me”, creando un ritmo un poco popolaresco e saltellante. Misterioso inizio di chitarra acustica mostra “My God”; composizione dalle vigorose membrature e dal canto intenso, dove il flauto, come spesso nei Tull, può assumere funzione sia ornamentale che più marcatamente e robustamente strutturale. Per molti versi il meglio del disco, insieme ad “Aqualung” e “Cross…”. La chitarra di Barre, unitamente al piano di Evans, crea la base elettro-acustica della indiavolata “Hymn 43”, ed elargisce un altro efficace riff. Dopo “Slipstream” terza delle brevi, delicate, ma non memorabili pause acustiche (anche qui c’è l’orchestra), giungiamo alla celeberrima “Locomotive breath”, introdotta da un pianoforte di sapore inizialmente classicheggiante e poi via via sempre più jazzistico. Chiude in bellezza “Wind-up”: è divisa nettamente in tre parti, più o meno come la title track, ma in ordine inverso, delle quali la prima morbida, così come la terza che ne costituisce la ripresa conclusiva, mentre quella centrale, aperta da un improvviso riff di Barre, è inaspettatamente possente.

Da un punto di vista strettamente progressivo probabilmente è stato realizzato di meglio: anzi, senza dubbio è così. Ma ciò che rende grande “Aqualung” è proprio la sapienza nel creare uno stile unico, nel senso di unitario e di personale, mescolando influenze diverse. È un’opera per molti versi a se stante, da giudicare al di fuori di schemi prefissati e in base alla qualità compositiva. Un disco per tutti gli amanti della buona musica, non solo progressiva.

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