MOTORPSYCHO, Phanerothyme (Stickman Records, 2001)

Gli avi vichinghi dei Motorpsycho sono diventati famosi per essere stati dei grandi viaggiatori e degli altrettanto grandi e temuti saccheggiatori. Pare proprio che i nostri contemporanei ragazzi di Trondheim (Norvegia) abbiano mutuato tali caratteristiche, adattandole ovviamente ad un mondo più civilizzato (almeno in apparenza). Viaggiatori dunque, perché sempre in tour, ovunque. E col tempo, album dopo album, saccheggiatori di stili e spunti musicali rappresentativi di almeno tre decadi di rock, per tacere di alcune contaminazioni jazz. E se l’obelisco egiziano, portato a Parigi da Napoleone come trofeo di guerra, campeggia da decenni in Place de la Concorde, totalmente francesizzato nel suo decoro stilizzato, anche “Go to California” non è un semplice plagio di “Light my fire”, ma la sua naturale e devota continuazione in una nuova fase temporale.

Saether, Ryan e Gebhardt hanno dalla loro una straordinaria padronanza della materia sonora, unita ad un’irrisoria facilità creativa. “Bedroom eyes”, l’opening track, è bella da non credersi, delicata come potevano essere alcune creature di Nick Drake. Un riff incisivo apre “For free”, dove una potentissima base ritmica punk/hardcore si fonde ad un delizioso gusto progressive Camel-Spirit: l’impasto è eccezionale, carico, passionale, tutte caratteristiche che il vecchio prog-rock perse con l’andare degli anni e dei gruppi. “B.S.” è pura gioia dei sensi, carnale nel suo basso in primo piano, aerea nelle sovrapposizioni di flauto e Fender Rhodes. “Landslide” continua questo delirio di note con il suo incipit alla Jethro Tull, tanto agreste quanto nervoso e tecnico, per poi dipanarsi in una pura melodia pop, con voci dissonanti degne dei primi Soft Machine e Pink Floyd. Abbiamo già accennato a “Go to California” ed alla sua progenitura, innervata da abbondanti dosi Jefferson Airplane e Grateful Dead, liquida e densa come un altro capolavoro Doors, “Riders on the storm”. “Painting the night unreal” e “The slow phaseout” sono preziosi scrigni contenenti pillole di Pink Floyd Waters-dipendenti, fiati di Bacharach, squarci celestiali modello Van der Graaf Generator/Genesis. Lo psycho-jazz surreale “When you’re dead” chiude il disco, preceduto dalla meravigliosa “Blindfolded”, un’opera d’arte che dovrebbe essere fatta ascoltare a scuola, una canzone di puro pop con tutti gli ingredienti per entrare nella storia.

Il “bottino” contenuto in “Phanerothyme” costituisce così un capolavoro di musica moderna, creata da una triade libera e colta, una boccata di aria fresca in un panorama ingessato da troppi lugubri e noiosi schematismi.

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