TINDERSTICKS, Can Our Love… (Beggars Banquet, 2001)

Bisogna ammettere che la carriera dei Tindersticks sembrava segnata, destinata verso un inevitabile declino, con il gruppo prigioniero di un cliché da cui non si vedeva via di fuga. Questa era l’impressione che si ricavava ascoltando l’ultimo “Simple Pleasure”, in cui il suono noir e le ballate fumose, sembravano ormai un puro esercizio di stile. Mancava la sostanza, mancavano le canzoni e le emozioni da esprimere. Mentre all’inizio della carriera i Tindersticks se ne erano usciti come un gruppo di outsider, con quelle influenze così bizzarre per un gruppo inglese, l’amore per l’Europa continentale, i locali fumosi, l’alcool, le sigarette e il caffè, e le canzoni struggenti. Si citavano Serge Gainsborug, Jacques Brel, Nick Cave, Leonard Cohen, Lou Reed, che apparivano qua e là tra i solchi di due grandi dischi, l’esordio omonimo e il secondo, battezzato semplicemente “Tindersticks [II]”, due lavori che conservano anche oggi tutto il loro fascino. Da lì però sembravano aver perso la strada. Sembravano essersi affidati troppo a un suono, a un’immagine. Blazer e sigarette, d’accordo, ma non canzoni che lasciassero il segno. Ma come in ogni favola che si rispetti arriva la redenzione.

Redenzione che viene giusto con “Can Our Love…”, un disco pensato per lunghi anni, dopo aver cambiato anche casa discografica.
Un disco che inizia proprio come ci si aspetta, con la consueta ballata lenta e tormentata, “Dying Slowly”. Poi arriva la sorpresa, perché quello che ha salvato i Tindersticks è il soul. Nient’altro, proprio il soul. E’ così che suona “Can Our Love…” nei suoi momenti migliori, quando i Tindersticks riescono a scuotersi di dosso la maniera che li affligge. Soul elegante e scurissimo, come i Tindersticks che suonano Marvin Gaye, lento e avvolgente e intriso fino all’ultima nota di malinconia. La prima gemma è “People Keep Coming Around”, costruita su un giro di basso pieno di ritmo, con la voce profondissima di Stuart Staples fascinosa come non mai, con i fiati che arrivano nel finale.
E poi “Can Our Love…” e “Don’t Ever Get Tired”, ballate avvolgenti certo, ma come “I’ve Been Loving You Too Long” di Otis Redding. Così come in “Sweet Release” c’è un fascino che non può non venire dalla sua essenza soul.

“Can Our love…” è così, lento e malinconico, ma anche terribilmente vivo, un disco suonato finalmente con l’anima. Una prova di coraggio.

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