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#throwbackthursday
#tbt
Siamo rimasti estremamente turbati dalla morte di Brian Wilson, da dimenticarci che un altro dei più grandi, Sylvester Stewart aka Sly Stone, è venuto a mancare giusto un mese fa, all’età di ottantadue anni.
L’influenza che il cantante, musicista e produttore discografico texano ha avuto con la sua band sull’universo musicale regge il confronto dell’ex-Beach Boys, quindi si è pensato di creare una piccola top7 di versioni e samples utilizzati da altri artisti.
Ma prima di questo, demoliamo il falso mito che Sly And The Family Stone siano stati solo una formidabile macchina da hits: il trittico di LP Life (1968), Stand! (1969) e There’s A Riot Going On (1971) vale quanto le produzioni più riuscite di Marvin Gaye, Funkadelic, Curtis Mayfield e Stevie Wonder. Per non parlare della dimensione live del gruppo californiano, che da Woodstock passando per l’Harlem Cultural Festival – riscoperto grazie a “Summer Of Soul” di Questlove – se la giocavano con James Brown come miglior act funk/soul. E come si vedrà anche nella lista, fonte whosampled, la sua opera ha fatto breccia anche su gruppi all’apparenza distanti dal mondo Sly Stone.
Beastie Boys, “Eggman” (1989)
Iniziamo dai samples, e quale esemplare migliore che un pezzo killer da Paul’s Boutique, capolavoro dei ragazzi bestia basato su 105 (!) tracce rubate da altri artisti di cui 24 nella sola “B-Boy Bouillabaisse”. Già si riconosce il tema di “Superfly” (Curtis Mayfield) nell’intro, ma il pattern di batteria di “Dance To The Music” gettato al minuto 1.38 ne segna una virata inaspettata, sorprendente per l’hip hop di fine eighties. Che si fa visionario, avanguardistico, post-moderno. Lo useranno, meno velatamente, anche i Primal Scream per “Rocks”.
Tupac, “Temptations” (1995)
In questo esempio trattasi maggiormente di interpolazione. Il bridge strumentale di chitarra e sax che prelude all’esplosivo finale di “Sing A Simple Song”, forse la party song più bella di sempre, diventa nelle mani di Tupac Shakur una leggera brezza di tastiere, rallentata e smooth. Alla 68 di Billboard, terzo singolo da Me Against The World e ultimo per la Atlantic, prima del passaggio alla Death Row Records di Dr. Dre con l’inflazionatissima “California Love” che gli darà la numero 1 – mettendo a frutto 5 diversi samples (EPMD, Joe Cocker, Ronnie Hudson…). King of rap.
Beck, “Sissyneck” (1996)
Un sample da condividere con “Insane In The Brain” dei Cypress Hill. Il segreto del groove di una delle perle da Odelay, come il sopraccitato Boutique prodotto dai Dust Brothers e Mario Caldato Jr., risiede anche nell’organetto estrapolato da “Life”, frenato almeno della metà dei bpm per fondersi con il country da strapazzo del ritornello. Addirittura più estremo il trattamento dell’excerpt operato dalla crew di Dj Muggs per la hit di Black Sunday (1993), lento all’inverosimile, a dimostrazione che nei momenti di creazione e raccoglimento intorno a un joint i dischi di Sly Stone gasavano come pochi altri.
Red Hot Chili Peppers, “If You Want Me To Stay” (1985)
Capitolo cover: vi proponiamo i Red Hot meno duri e pop-funk di Freaky Styley, secondo LP prodotto da George Clinton e che vedeva Hillel Slovak alla chitarra e Cliff Martinez alla batteria. Ne risulta una versione edulcorata del brano contenuto in Fresh del ’73: se da un lato Kiedis si trattiene, interpreta Sly quasi da crooner, dall’altra ci gustiamo un Flea già virtuoso e imprescindibile, per un disco che ospita Maceo Parker e Fred Wesley e una cover di “Hollywood” (The Meters). L’originale Sly Stone però è un’altra cosa.
The Charlatans, “Time For Livin’” (1995)
Il pezzo meno conosciuto della nostra piccola lista, con un testo importante e buono per tutte le stagioni (Time for changin’, rearrangin’/No time for peace, just pass the buck/Rearrangin’, leader’s changin/Pretty soon he might not give a damn). “Time For Livin’” esce nel 1974 e rivive grazie ai mancuniani Charlatans, che la incidono in un solo giorno, il 4 Settembre 1995, per la compilation “Help”, i cui proventi erano destinati alle vittime della guerra in Bosnia. Una performance di Tim Burgess da urlo e le tastiere del compianto Rob Collins valgono l’orchestrale gemma di Sly a tema Vietnam.
The Dirtbombs, “Underdog” (2001)
Mick Collins omaggia nel suo secondo album con i Dirtbombs il grande soul e Rhythm and Blues degli anni sessanta. “Underdog”, un funk travolgente – quando non caotico – di una acerba Sly And Family Stone del 1967 viene riassemblato in garage dal quartetto di Detroit tra chitarre deraglianti e amplificatori che fischiano da tutte le parti. Citazione di Frère Jacques, Fra Martino Campanaro in coda al pezzo. Strepitosa: come dicevano gli U2, even better than the real thing.
The Raincoats, “Running Away” (1982)
Quella distanza a cui accennavamo prima, è veritiera solo per chi conosce le Raincoats per il loro materiale principale – l’omonimo del 1979 e il successivo Odyshape – così trascendente dal post-punk da anticipare il lo-fi; eppure nel cuore di Ana Da Silva e Gina Birch batte forte l’amore per il reggae, lo ska e appunto il funk, in “Running Away” suonato con una vena alla Clash periodo Sandinista e in anticipo sugli Style Council. Invece per quanto riguarda la prima versione, correte ad ascoltarla nel player Spotify a fondo articolo. Thank You Mr. Stewart.
Photo: ABC Photo Archives/Disney General Entertainment Content via Getty Images