PREOCCUPATIONS, “Arrangements” (Jagjaguwar, 2022)

Post-punk è un’etichetta piuttosto larga e giustamente la si usa da decenni in modo molto elastico. Però di questi tempi mi pare che la stiamo utilizzando per taggare qualsiasi cosa abbia qualche chitarra in rilievo. Insomma, si sta svincolando sempre più dal suo lontano senso originario e si presta ad un utilizzo a volte un po’ vuoterello, per quanto figa possa suonare la parola. Ogni tanto mi fa pensare a quel che succedeva con le t-shirts dei Ramones che dopo un larghissimo svincolo perdevano ogni possibile nesso con i Ramones, ecco.

E ai Preoccupations (ex Viet Cong) gli puoi dire post-punk senza che si sollevino delle obiezioni? In realtà, per un mezzo paradosso, capita che il senso di questa etichetta sia messo in discussione anche quelle volte in cui l’adesione ai riferimenti e ai canoni dark e new wave sono palesi (come nel caso, appunto, dei canadesi). Cioè, post-punk secondo la logica dovrebbe includere un atteggiamento molto in divenire e una definizione di sé, diciamo, “per contrasto” rispetto a qualcosa. Dovrebbe succedere questo più che un posizionarsi sicuro sulla scia relativamente comoda di qualcos’altro che “a quel tempo” comodo non era.

Ebbene, i Preoccupations forniscono certezze inequivocabili ma sono pur sempre delle certezze in divenire. Dopo il citato cambio di nome e una progressiva (parziale) ripulitura del suono, arrivano a quello che ormai è il quarto album con questa formazione. E “Arrangements” si presenta in abiti civili, privo di orpelli ma colmo di un’ispirazione limpida, appunto. Nelle sette tracce c’è la classica apertura d’impatto (“Fix Bayonets!”), ci sono i ritornelli, qualche strofa memorabile, delle articolazioni ben calibrate. Quegli stessi elementi dark wave/industrial oggi sono leggermente addomesticati ma la maggior nitidezza non vuol dire che il risultato non sia piacevolmente scarno come i primi lavori.

L’oggetto in questione è meno tagliente ma l’opera di giustapposizioni è inalterata. In “Arrangements” si recupera la capacità di articolare le canzoni senza una prolissità fine a se stessa: momenti catacombali e poi finestre che si spalancano (“Advisor” è divisa di netto in due parti complementari). Come accennato, gli evidenti riferimenti ci sono sempre (oggi un po’ più di Smiths e un po’ meno “Pornography”). Ma quel che è bello è che quei monumenti sono usati più come materia prima da ri-plasmare che come linee o contorni da replicare.

78/100

(Marco Bachini)