“Our own personal tormentone” dell’estate 2020

Se anche voi avete vissuto le spiagge oppure avete fatto aperitivi, sapete quali sono i veri tormentoni dell’estate 2020: erano ovunque e ci rimbalzavano nel cervello sempre. Ognuno di noi però ha anche una canzone che – volutamente o meno – si è imposta e ha fatto da colonna sonora a questa estate distanziata. Un tormentone da sentirsi proprio, ritagliato su misura su se stessi, e questi sono quelli degli scribacchini di Kalporz.

Non ne posso più del ritmo dembow, sembra che esista solo questo tempo: nel pop internazionale (più becero, obviously), nella musica leggera italiana tra karaoke e guaranà (anzi no, Elodie ha più inventiva e non lo usa), nel reggaeton vero e proprio, forse anche dal pizzicagnolo all’angolo. È ovunque. Siamo attorniati.
Una roba che viene voglia di tornare immediatamente al 7/4 di “Money” dei Pink Floyd o al 13/8 del ritornello di “John Holmes” di Elio.
Ecco, dopo questo mio ragionamento conscio avviene che il mio personale tormentone di quest’estate (che, si sa, è inconscio, cioè lo si riscontra a posteriori anche contro la propria volontà) sia stato “Time to Walk Away” di Washed Out che – in effetti – utilizza il dembow.
Ok.
Avete vinto, mi arrendo.

(Paolo Bardelli)


Si sono fermate le discoteche e i club di tutto il mondo e forse questo break forzato ci può aiutare a ripensare il futuro dei dancefloor.
Sognare un club e un modello di club dove chiunque può ballare come vuole e ciò che vuole senza sentirsi una preda. In un ambiente aperto e protetto come ci ha insegnato Berlino e come accade(va) nei migliori club del mondo.
L’artista simbolo dell’ascesa planetaria del nuovo pop “urbano” latino rappresenta al meglio questa nuova prospettiva sempre meno utopica anche in mondi che finalmente si stanno aprendo a visioni femministe e LGBT come il reggaeton e il rap ispanico. “Yo Perreo Sola” ovvero “io perreo da sola” (dove perreo è il twerking del reggaeton).
La canzone è il quarto singolo dal bellissimo “YHLQMDLG” (“Yo hago lo que me da la gana” ovvero “io faccio quello che mi pare”) terzo album uscito in pieno lockdown per Bad Bunny che ha raggiunto un traguardo storico facendo esordire per la prima volta al secondo posto negli USA un disco cantato interamente in spagnolo.
Il ventiseienne portoricano ha anche diretto il video manifesto insieme a Stillz. Video che parla da sé e che si chiude con una massima esemplare da scolpire in testa: “se non vuole ballare con te, rispettala: lei balla da sola”.

(Piero Merola)


Dopo la visione dell’ottimo documentario “The Chills: The Triumph and Tragedy of Martin Phillipps” (disponibile sulle piattaforme streaming solo da fine maggio 2020), è quasi impossibile non (ri)andarsi ad ascoltare la musica dei Chills, una delle migliori band guitar pop neozelandesi di sempre. Nei primi anni ottanta tutto era possibile a Dunedin, e lo sembra ancora oggi prendendo in mano i dischi dei Chills. D’altronde se anche Iggy Pop ha definito come “fine art” un brano come “Pink Frost”, qualcosa vorrà pur dire. Quando probabilmente – negli ultimi mesi – in tutti gli stabilimenti balneari sparsi per l’Italia risuonava in filodiffusione “Karaoke Guantanamera”, le mie casse sparavano a tutto volume i Chills. Quindi, sì, lo posso dire: “Rolling Moon” è stato il mio tormentone estivo.

(Monica Mazzoli)



Una volta c’erano anni lavorativi normali, separati l’uno dall’altro da estati normali con relativi tormentoni nazionalpopolari normali, che ci assillavano durante le nostre vacanze normali. La piatta normalità estiva, sia dal punto di vista della nostra routine sia dal punto di vista delle canoniche uscite discografiche che abbiamo conosciuto nel corso del tempo, non esiste più e ci si ritrova a settembre a fare un resoconto di una stagione inedita nella sua stranezza ed unicità. Non tutto il male viene per nuocere, come dimostra questa classifica di colonne sonore fuori da ogni classifica: né musica latineggiante fatta in laboratorio, né notti magiche inseguendo un gol, ma tutto ciò che ci rimane nelle orecchie sono le canzoni più disparate che hanno aggiunto un po’ di consolazione e spensieratezza a questo orribile 2020. Tra i pezzi che sono riusciti meglio in questo intento c’è “Douha (Mali Mali)”, gioiellino frutto della collaborazione tra la house dei Disclosure e la voce della chitarrista maliana Fatoumata Diawara. Il video è una sequenza di ballerini isolati, a prova di distanza di sicurezza, ripresi tra New York, Sud Africa ed Italia. Un lavoro visivo, e più in generale un album (Energy) di cui si è parlato troppo poco ma che è capace di darci ancora un po’ di buonumore in questo ultimo di strascico di estate tutt’altro che normale.

(Stefano D. Ottavio)


Se il pezzo dell’estate ha il compito di ricordarci qualche bel momento trascorso nei mesi più caldi dell’anno, allora il mio pezzo estivo è senza dubbio questo singolone di Chloe x Halle. L’ho ascoltato mentre: andavo a lavorare in bicicletta quando il centro di Modena era piacevolmente deserto; guidavo sui tornanti dell’Appennino emiliano-romagnolo prima e dopo lunghe passeggiate con gli amici; giravo per vivai alla ricerca di piante capaci di sopravvivere in una mansarda con un brutto rapporto luce/calore interni; tinteggiavo le pareti di casa di bianco e di un colore che non ho ancora ben capito se è grigio o marrone. Momenti di serenità rari in un anno così duro e difficile: sta per arrivare l’autunno e spero che il fascino scintillante di questo pezzo rimanga intatto come i ricordi a cui è legato.

(Enrico Stradi)


Megan Thee Stallion e Cardi B reinterpretano a modo loro il tipico pezzo rap a pane e toxic masculinity, rivendicando anche per se stesse il diritto all’explicit e al gusto di strafare. Certo, le donne del rap avevano dimostrato di sapersi muovere altrettanto bene nel topic già dai tempi di Missy Elliott, ma Megan e Cardi sono riuscite nella difficile impresa di spedire dritta dritta nelle top charts globali dell’estate una canzone che qualche anno fa di certo non avrebbe ricevuto lo stesso entusiasmo. Il #metoo è anche questo: il diritto alla scelta di giocare con i propri corpi e con gli stereotipi che spesso li accompagnano, facendo il verso a se stesse e a un certo modo di vedere il femminile con un pezzo dove il confine tra serietà e parodia non sembra più esistere né farci sentire la sua mancanza.
Kitsch, schietto, disturbante e autoreferenziale, pieno di riferimenti al sesso più che dettagliati che potrebbero far gridare molti al too much informations: “WAP” ha anche dei difetti, ma io ancora non li ho trovati. Ed è il perfetto tormentone di un’estate che aveva bisogno di questa featuring.

(Claudia Calabresi)


Durante l’estate, a livello di album, ho ascoltato soprattutto “Anima Latina” di Battisti e “Anima” (e basta) di Thom Yorke. Ma a livello di singoli, i miei contatori parlano chiaro: Róisín Murphy ha fatto il tormentone. Il mio. “Something More” riconnette un po’ la “divina” con il mood electropop dirompente di “Overpowered” (2007). Dopo i due album relativamente recenti (dal profilo più basso), l’adorabile e.p. in italiano e la corposa manciata di singoli (molti da club) degli ultimi anni, questa è la Róisín Murphy che mi trafisse il cuore, più di quella della collaborazione con Matthew Herbert, più ancora di quella dei Moloko. “Something More” cattura anche per il contrasto tra la melodia assolutamente immediata e l’andamento lievemente soporoso, quasi giù di giri. L’ antitormentone è il miracolo pop che non sa di (o non vuole) esserlo. Conferma la statura da gigante di questa interprete che, credo, non si possa imitare.

(Marco Bachini)


In questa estate strana che ormai volge al termine Adrianne Lenker, leader dei Big Thief, che nel 2019 hanno dato alle stampe due album straordinari, ha annunciato che presto pubblicherà due nuovi dischi, songs e instrumentals, undici brani e alcune jam strumentali registrati durante il lockdown. Il primo brano estratto da songs è “anything”, una ballata dolcissima dove gli arpeggi di chitarra sembrano gocce di pioggia che ti sfiorano fresche in mezzo a una foresta verdissima. Come in quasi tutti i brani firmati da Lenker, la violenza di un gesto e la dolcezza di un altro sembrano scontrarsi e integrarsi, carnefice e vittima si inseguono e avvinghiano, scambiandosi talvolta di posto. Lenker canta di ricordi che scappano non appena riaffiorano. Sembra impossibile poterli fermare. Una spiaggia d’estate, una lista della spesa, una specie di rissa, un Natale stranissimo. “anything” è un folk seducente che cattura una stagione al tramonto che non vuole morire.

(Samuele Conficoni)