NICOLAS GODIN, “Concrete And Glass” (Because Music, 2020)

Mettiamola così: il punto di partenza di “Concrete and Glass” ne è anche il limite. Perché voler comporre musica ispirandosi a delle costruzioni architettoniche è affascinante ma porta con sé quella constatazione che la musica d’ambiente, se è mero vapore che fluttua nell’aria, diventa solo un accessorio, eventuale e pertanto non necessario. Invece tutta la musica che conta, quella che ti rivolta le budella o il cuore, pretende l’attenzione totale, non è trascurabile.

Ma la vera questione nodale non è se “Concrete and Glass” sia imprescindibile, solamente utile o finanche inutile, ma è altra, e riguarda gli Air: il duo francese è troppo tempo che non pubblica qualcosa di davvero decente, e Nicolas Godin, metà degli Air, può in questo 2020 lenire un po’ di nostalgia  e di mancanza della classe retrofuturista del duo di Versailles. Ci riesce? Direi di sì: mentre Jean-Benoît Dunckel nel tempo si è distratto con il paio di album solisti a nome Darkel e i progetti paralleli Tomorrow’s World e Starwalker ma sfoggiando una verve kitsch un po’ indigesta, Nicolas Godin – e sinceramente non lo si credeva – dimostra di saper toccare corde maggiormente distinte ed eleganti.

E non si sta parlando di quei brani in cui Godin cita un po’ troppo smaccatamente le atmosfere di “Moon Safari”, come in “What Makes Me Think About You”, ma nei punti in cui il polistrumentista suona più attuale (la titletrack, “Back To The Heart”) o più neutro (“The Border”), senza orpelli superflui.

Poi però, nel complesso, “Concrete and Glass” sconta quel peccato originale che abbiamo cercato di spiegare all’inizio, purtuttavia in quadro generale di un’elettronica di buona fattura, solo un po’ superata. Peccato, e questa considerazione finale è un po’ amara, che la produzione di ciascuno degli Air, sia solista che come band, da più di dieci anni (da “Love 2” compreso in avanti) a questa parte sia passata dall’essere retrofuturista a solo retrò.

68/100

(Paolo Bardelli)