MELAMPUS, “Hexagon Garden” (Riff Records / Sangue Disken / Old Bicycle, 2015)

coverChiudi gli occhi. Ti ritrovi in un luogo desolato. Senti cigolare qualcosa da lontano. Segui il suono e vedi davanti a te un cancello che dondola collassato su un cardine che ti invita a entrare.
Benvenuto nell'”Hexagon Garden” dei Melampus.
È una nebbia sonora quella che ti sale intorno, già nel pezzo d’apertura “May your movement”.
Sale e ti avvolge, in un fumo wave cadenzato. La mente ondeggia. Si agita sull’inciso. Vacilla. Torna a rimpallare pensieri, che la chitarra fa tremolare fino al dissolvimento.
Smarriti. Ci chiediamo dove siamo. e in pochi secondi l’aria si elettrifica in una sorta di preghiera rituale (“Poor devil”), che la voce della Pizzo declina a domanda e risposta tra uomo e.
Ormai a questo punto capiamo dove siamo, ma se ancora avessimo dubbi, arriva “Second soul” a decretare le nostre coordinate.
Un crescendo di suoni dilatati che elevano uno stato trascendente di riflessione, che avrebbe fatto inneggiare al cielo negli anni ’80, ma di cui siamo i fortunati primi testimoni nel 2015.
I Melampus, confermano le aspettative dopo “Ode road” e “#7”, e in soli due anni arrivano al terzo lavoro, più sicuri che mai, riuscendo ad incastrarsi perfettamente nell’onda che tanto cara fu a Dead Can Dance e Cocteau Twins (tra gli altri), e non far storcere il naso a chi con quella musica è cresciuta, non è affare di poco conto.
E non stiamo certo parlando di recupero filologico.
Galleggiamo, ascoltandoli, in un trip senza hop: roba da farti fluttuare come una marionetta sulle nuvole (“Night laugh”). Senza cadere mai di tono e tensione, per tutta la durata del disco. Un disco che può essere discesa negli inferi a assunzione al paradiso, passando e ripassando per se stessi certo (“Question #3”), ma con movimenti di apertura tribale che tendono ad una certa coralità.
Semplicemente siamo di fronte ad alti livelli di ricerca sonora e talento compositivo.
“Hexagon Garden” è ricercato, mai scontato, molto immediato; e con supposti più che mai confermati come questi, l’estero per loro non può che essere il palcoscenico naturale.
Intanto ascoltiamoceli noi.

77/100

(Elisabetta De Ruvo)

17 marzo 2015