DEPTFORD GOTH, “Songs” (37 Adventures, 2014)

discoNella vita di tutti i giorni Deptford Goth si chiama Daniel Woolhouse.
Fino a poco tempo fa Daniel Woolhouse faceva il supplente in qualche scuola dei sobborghi londinesi, poi però l’anno scorso è uscito “Life After Defo”, il suo album d’esordio, un successo sorprendente di pubblico e critica, e ovviamente per lui da lì in poi le cose  non sono più state le stesse.

È passato solo un anno, ma il tempo per Woolhouse deve aver accelerato parecchio, o almeno è quello che questo suo secondo disco ci fa pensare: rimane quel modo di cantare timido e soffuso, rimangono i synth e l’ rnb, rimane l’elettronica, ma a mancare è la colla a presa rapida che rendeva memorabili i pezzi del primo disco. L’anno scorso ci eravamo persi nei burroni scavati da “Union”, o nei voli aerei di “Feel Reel”, ma in questo disco facciamo fatica a sentire la stessa vena pop. E più che burroni o voli altissimi, sembra che Deptford Goth ora voglia farci camminare sul pavimento scivoloso e/o scricchiolante degli affetti e dei sentimenti. Al centro di “Songs” infatti c’è una riflessione non banale sull’amore, su quello che l’amore comporta nella vita di tutti i giorni, sui momenti e sui tempi che non sono tutti rosa: è naturale quindi che in questo disco si sia persa la leggerezza degli esordi. È un disco più adulto.

A mancare sono quindi quei pezzoni facili ed immediati che ci avevano conquistato precedentemente, ma è una perdita che possiamo anche concederci perchè al loro posto ora c’è una composizione della musica e dei testi molto più matura e raffinata, in grado di aumentare esponenzialmente il pathos emozionale delle storie dentro “Songs”. Deptford Goth sa che raccontare i sentimenti non è facile, e per farlo ci mette tutta la sua voce caldissima abile a spaziare per più livelli di intensità.

Nella prima parte “The Lovers” e “We Symbolise” si prendono tutte le attenzioni con il loro crogiolare malinconia da ogni verso: “Love stings, everything goes” e “I fell down. Things all look bad to me” sono solo le frasi che rimangono più impresse, ma il campionario a nostra scelta è molto più vasto di due citazioni.
Più tardi però è il piano dentro “A Circle” ad aprire uno squarcio di luce calda nel grigiore cantato fino a lì: da qui in poi i pezzi cominciano a crescere verso l’alto, e anche la voce di Deptford Goth si irrobustisce piano piano fino a ripetere come un mantra una piccola ed enorme convinzione: “Find each other, ’cause it’s all we got”. È da qui in poi che tutta l’amarezza raccontata prima finalmente evapora al sole: “Two Hearts” e “A Shelter, A Weapon” con i loro giochi di synth a metà tra il maestoso e il catartico sembrano volerci insegnare una cosa semplice semplice, e cioè che è vero che l’amore è una cosa talmente grande che a volta sembra difficile saperne reggere il peso, ma è quello che nella vita conta di più di tutto il resto. It’s all we got. Non è una resa, è una convinzione raggiunta soltanto dopo aver sentito sopra e sotto la pelle la fatica e il dolore.

Una riflessione che suona banale solo agli immaturi. Ed è proprio in questo che “Songs” si dimostra un disco più adulto rispetto a “Life After Defo”: è vero, si è persa un po’ quell’attitudine al pezzone e al pop, si respira forse meno entusiasmo e meno fighetterie electro, ma si diventa grandi anche così.

69/100

Enrico Stradi