Rock Carpet Vol. 1 – 65daysofstatic

Rock Carpet
(perché) anche l’occhio vuole la sua parte

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Mia nonna ha inventato l’indie look. Diceva: “Non si esce sul ponte senza un velo di rossetto rosso”. Abbandonate le campagne verdi, nella Milano a cui tenere la testa (deve aver bevuto un po’ troppo…) il ponte è un marciapiede che corre lungo una via variabile secondo i flussi e riflussi dei traslochi di noi fuori sede a vita. La destinazione è sempre un posto piuttosto buio dove ascoltare sperabilmente cose buone.

La nonna aveva ragione. Il rossetto rosso è da un po’ l’indispensabile biglietto d’ingresso per mimetizzarsi nella fauna di qualunque concerto vagamente alternativo e guardarsi impunemente in giro alla ricerca di minimi comuni denominatori e indizi di evoluzione della specie. È una calda sera di ottobre, al Tunnel suonano i 65daysofstatic, io entro sicura di trovare mie simili nel loro habitat naturale, circondate da smilzi maschietti dalle barbe stropicciate appollaiati su lunghe gambette secche e jeans a sigaretta.
Intorno, le pesanti mura di questo storico club perso nella terra di nessuno che circonda la stazione. L’ingresso, indistinguibile di giorno, è sotto le arcate della massicciata impegnata da oltre un secolo a sparare binari ai quattro venti. Ha questo di bello, il Tunnel: sempre un che di clandestino, di locale per iniziati. Lo sai che non lo è, ma dopo un paio di birre potrebbe anche.

Un lampo di lucidità come sempre inopportuno. Basta un’occhiata. Ho sbagliato serata. Qui di rossetti neanche l’ombra, nessun pantalone a sigaretta, le barbe incolte sono davvero frutto di sveglie inaffidabili e non si vede un centimetro di stoffa scozzese, capite, neanche un centimetro…
E l’arrivo dei 65daysofstatic sul palco non aiuta. Sono sani. Nessun vezzo. Pesantissimo accento di Sheffield e un accenno di pancia. Sono in tre e ti portano via senza chiedere il permesso. Fra basi elettroniche e giri di chitarre da headbanging d’altri tempi, quei ragazzoni da periferia industriale confondono idee e linguaggi, scardinano le consecutio e ci trasformano in amanti primitivi che scuotono il corpo semplicemente perché sì.

Hanno l’aria di divertirsi parecchio, il pubblico di più. Abbatto il rossetto a colpi di birra e mi adeguo alla disarmante sincerità di questo ingenuo e sensuale electro rock che manda il look e ogni suo sofisticato sinonimo all’ufficio di collocamento e decreta l’assoluta inutilità di qualunque cosa non affondi molti strati sotto la tua pelle. Con buona pace di mia nonna.

(Silviaeffe)

7 novembre 2013