Intervista a Pierpaolo Capovilla (Teatro degli Orrori)

Difficile rimanere estranei alla politica quando si conversa con Pierpaolo Capovilla, mente vivace e voce de Il Teatro degli Orrori. Mentre compongo il suo numero osservo l’ipnotica copertina dell’album, opera che s’intitola “Face Cancel” dell’artista Roberto Coda Zabetta: è bellissima e quel viso scuro sembra il frutto dell’unione di molteplici ‘spiriti’ inquieti. Pierpaolo risponde al telefono e inizia la nostra chiacchierata tra i fantasmi del passato e del presente: Majakovskij, De Andrè, Berlinguer, Marx… Parliamo di tutto e ovviamente dell’ultimo loro album, “Il mondo nuovo”, che come si sa è un concept incentrato sul tema dell’immigrazione.

Sai che ancora molti non si capacitano del fatto che, anche noi italiani, siamo il risultato di un processo storico ben preciso che si chiama ‘immigrazione’?!. Che discendiamo insomma da Unni, Barbari, prima ancora di diventare un paese di migranti…

Io stesso sono figlio dell’immigrazione interna e mi sento parte in causa di questo fenomeno. Io, per primo, nato in Veneto alla fine degli anni ’60, un periodo in cui si emigrava proprio per cercare nuovi posti di lavoro al Nord.

E ora, avresti forse voglia di partire anche tu? Come i personaggi di cui parli nei tuoi testi, obbligati ad andarsene via per le più disparate ragioni?

Ho voglia di viaggiare, quello sì, per conoscere il mondo e ampliare lo spettro delle mie conoscenze. Assolutamente no, io voglio restare e lottare fino in fondo!

C’era da aspettarselo da uno come te… che vede nella musica una forma di espressione politica e sociale…

Questo è un dato oggettivo! Non solo per me… tutta la musica leggera e il rock anticipa la modulazione dell’immaginario collettivo. E questa è politica: sia che ti chiami Capovilla o Ramazzotti. Semplicemente Ramazzotti la fa di segno opposto al mio.

Allora sono i fan o la critica musicale a fare la politica sbagliata a volte? Perché nei social network, quotidianamente, si intraprendono dibattiti inutili sul mondo musicale. In cui le parole non hanno peso e in cui ci fanno futili paragoni.
I social network non fanno altro che rendere possibile l’emersione di fenomeni barbari, già precedentemente esistenti sotto altre forme. Purtroppo, nel nostro paese, dove internet dovrebbe rappresentare una straordinaria forma di democrazia, finisce per mettere in mostra solo l’edonismo di giovani che hanno voglia di mettersi in mostra. Narcisismo individualistico tipico della società di oggi e di questi anni. Per quanto riguarda la critica, il nostro disco ha suscitato notevoli polemiche, Marco Lodoli (Repubblica, XL) ha intravisto nel tessuto narrativo diversi aspetti, tra cui la fratellanza, cogliendo il segno. Mentre Federico Guglielmi (Il Mucchio Selvaggio), dal canto suo, ha parlato di scorregge. Quindi, che ti devo dire, anche se un giornalista di lungo corso come Guglielmi non abbia apprezzato il disco… pazienza. Ma sono anche felice che emergono punti di vista contrastanti e vuole dire che il disco fa discutere. E la discussione è sempre un fatto positivo.

Quando è costruttiva sì, ma Guglielmi in questo periodo mi pare un po’ avvelenato… almeno leggendo le sue ultime recensioni.

Lascio a lui il lavoro di criticone, io preferisco tacere.

Nei tuoi testi ci sono sempre citazioni più o meno celate. Nel nuovo disco sono esplicite, è forse un mondo per portarci a riscoprire figure chiave di questo secolo?
Manifestate, in un senso molto circostanziato, ed è bene dire che tutte le citazioni nelle presentazioni alla stampa come alle radio o nelle numerose interviste- sottolinea- sono sempre state ben manifestate: nessuno può accusarmi di plagio! Però quello che hai detto è giusto, e se riesco ad ottenere questo sorprendente risultato di divulgare la grande poesia del ’90 ai nostri ragazzi: possiamo dire che il rock è servito a qualcosa. Se c’è una cosa che cerco nella musica è la divulgazione di politica e cultura.

Il titolo del disco si ispira a quello del romanzo di Aldous Huxley, ambientato nel futuro. I personaggi di cui tratta non conoscono il loro passato però. Nelle tue canzoni invece, come detto, si parla di grandi poeti, musicisti, personaggi chiave della storia. E’ così forte il bagaglio che ci portiamo appresso e che, a volte, non ci permette di affrontare un futuro anche migliore?
Sì, noi purtroppo, viviamo in un mondo in cui non si da più valore alla nostra esperienza storica, tantomeno, non pensiamo al nostro futuro né a quello dei nostri figli. Ma viviamo solo una sorta di ‘reiterato’ presente che non costruisce nulla. Già Marx aveva individuato l’uomo solo nella moltitudine, in più, oggi ci si mette anche la tecnologia ad isolarci ancora di più come individui sempre meno aperti alla comunicazione e al confronto umano. La musica è un mezzo comunicativo che ci può permettere invece di ritrovarci. E il rock ha nel suo DNA-conclude- la ribellione, ti spinge ad incazzarti. A rivoltarti. Ciò di cui parlava Finardi nella sua ‘Musica Ribelle’

Come nasce la canzone Padre Nostro? Mi incuriosisce. Un pezzo che riprende una citazione di una preghiera cristiana e che, ai più bigotti forse, potrebbe risuonare quasi blasfema. Visto che inserita in un brano di musica rock.
Della preghiera della non così più amata religione cattolica romana. Di blasfemia non mi sembra il caso di parlare. Nemmeno Famiglia Cristiana, che promosse il nostro disco come migliore dell’anno, parlò di blasfemia. Ma anzi, fu molto apprezzata questa lunga citazione della preghiera di Gesù. E’ una citazione, come quella fatta a Majakovskij, della poesia di ‘uno dei più rivoluzionari di ogni tempo’, Gesù Cristo, così lo chiamava De Andrè. Dopo tutto la poesia, anche quella futurista russa, è così simile alla preghiera: hanno la caratteristica di essere consolatorie. Ciò che ho cercato di esprimere in questa canzone, consolatoria sì, ma che ti induce anche ad un’ennesima riflessione: ‘Perché viviamo in questo stato di cose’?

Hai citato Majakovskij, non so se ti è capitato, nelle numerose letture, di soffermarti sul libro ‘L’amore è il cuore di tutte le cose’. Una raccolta di lettere d’amore tra lui e Lili Brik.

Alle lettere d’amore preferisco le poesie d’amore di Majakovskij. Le sue poesie sono così struggenti che ti rifanno innamorare di tua moglie, mi spiego? (ride)

Reading, musica, poesia… Sembra che sei sempre alla ricerca di molteplici linguaggi di espressione.

E’ così, diciamo che mi piace approfondire diverse tematiche. Ti faccio l’esempio del nostro secondo album (“A Sangue Freddo” ndr) in cui c’è una rilettura della poesia “All’amato se stesso dedica queste righe l’autore” nella versione di Carmelo Bene. Ti ricordi? La RAI un tempo, non sempre, faceva programmi bellissimi, con speciali interessanti. Ora è il deserto… Nello stesso istante in cui decido di trasformare una poesia in una canzone rock, inducendo molti giovani a riscoprirlo, richiedo a me stesso un approfondimento di tutto il corpus poetico di questo autore, o almeno di ciò che amo di più di Majakovskij. Ho fatto reading ovunque su questo autore, persino in un parcheggio a Napoli e c’erano sempre moltissimi giovani interessati. Io sono venuto al mondo per fare qualcosa di positivo, per lasciare un segno, e quando me ne andrò- quando nessuno si ricorderà di me- spero che restino le mie canzoni.

Speriamo che i giovani attraverso questi tuoi reading si affezionino un po’ di più alla poesia. Perché in Italia non è valorizzata come dovrebbe. Non credi?
La poesia rende al meglio una cosa: che le parole sono importantissime, e che la loro giusta posizione- espressa in questa modalità- può comunicare cose sorprendenti. Certo ora si parla con soli 200 vocaboli, con la poesia invece ce ne vogliono molte di più.Se riesco a fare anche questo, a fare interessare alla nostra lingua i giovani, potrò andare fiero de mio lavoro. Cosa ti devo dire? Sono un vocazionale… non sono una rock star, sono un predicatore! (ride)

Ti è capitato per caso di vedere lo spettacolo che ha fatto Benigni al Campovolo?

Lo dico senza polemica, io preferivo il Benigni maledettamente comico dei tempi di ‘Berlinguer ti voglio bene’. Il Benigni poeta lo sento come inadeguato… ben venga comunque Benigni e abbasso Grillo, giusto per capirci.

Sono cambiati anche i personaggi politici… non è tutta colpa sua dai! Da Berlinguer siamo passati a Berlusconi, Grillo e Bersani.

Ricordo bene la morte di Berlinguer, e mi dispiace per chi ha vissuto solo l’era del Berlusconismo, di cui portiamo ancora i segni. Quando compii 18 anni corsi al seggio a votare PCI e il prete, durante la messa, si dispiacque per quell’unico voto al PCI che fu espresso in quel di S. Cristina, Quinto di Treviso dove vivevo. La società era molto diversa allora e la chiesa giocò un ruolo regressivo, non ci sono dubbi. Certo, io, il ricordo di Berlinguer me lo porto stretto nel cuore! Quell’uomo pensava di poter cambiare il mondo ed è esattamente ciò che penso anche io. Oggi invece le speranze sono andate completamente perdute. Oltre 20 anni di berlusconismo non possono passare invano. Ci vorrà molto tempo e molta passione politica per rialzarci.



Ultimissima cosa, mi pare che nel vostro ultimo disco siate passati da un sound americano ad uno più nord europeo.

Verissimo, stiamo cercando di liberarci dai clichè americani che hanno dominato il nostro repertorio sino al secondo disco e stiamo guardando alla musica di questi giorni, volgiamo esserci anche noi.

State facendo live corposi, pieni di grandi successi…
Oltre a presentare il nuovo disco, stiamo facendo anche i pezzi più famosi e blasonati dei precedenti. Anche perché i ragazzi ce lo chiedono e non vorrei mai deluderli.

Sei un buon predicatore vedi!
Speriamo! (ride)

(Gloria Annovi)

in collaborazione con Remark

24 settembre 2012

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