Stefania Italiano Awards 2011

My Personal Jesus 2011

Faticoso ogni volta per me raccogliere le idee e mettere ordine alle immagini e alle suggestioni suscitate da un intero anno musicale. Ognuno di noi crea la sua colonna sonora, la sua privata classifica che nel corso degli ascolti consumati in cuffia per le strade del mondo o a palla nelle casse dello stereo di casa ha generato una gerarchia di sentimenti e di pensieri “mitologici” degni di forze cosmiche che servono a organizzare l’universo spirituale sempre sul punto di collassare.
Ognuno di noi ha trovato l’ordine mentale e spirituale attraverso la musica che ha ascoltato e che ha apprezzato, scorgendo in particolari note, passaggi musicali, colori vocali, strazi e ferite, e certamente profili offuscati di se stessi, riflesso del nostro volto nell’acqua.
Consapevole che ogni classifica consegna al mondo l’inutile tentativo di far diventare ordine universale il proprio ordine e gusto personale, vi regalo la mia personalissima classifica di chiusura 2011, un anno non male, confuso, frustrante, a volte esaltante, altre volte allarmante, e probabilmente ancora non l’anno che fa per noi e la nostra più o meno opinabile Weltanschauung. Nonostante tutto, un buon anno. Ve lo regalo tutto dentro questa classifica che non è completa, che ho dovuto corregere, che ho voluto varia e a tratti più che rivelatrice di debolezze. Non me ne vogliate male se è venuta monca o incomprensibile. Dipende molto dalla forma che intendiamo dare ogni giorno a quello che siamo e vogliamo essere. Quindi buon anno a tutti e a presto su Kalporz e oltre 😉

1) Machine Head – Unto The Locust
Perché un album dei Machine Head è come un romanzo classico ottocentesco, un affresco poderoso di rara complessità che mette in scena tutte le gamme dei sentimenti, come solo un classico sa fare, narrato dalla voce luciferina di Robb Flynn, angelo ribelle ad ogni istante sul punto di cadere, in lotta perenne con la propria compassione e la propria rabbia. L’apocalisse ha dei codici precisi per essere narrata, e i Machine Head, tornati dopo quattro anni dal magnifico e assolutamente classico “The Blackening”, sono riusciti a usare il linguaggio biblico per piegarlo a nuove introspezioni, personali e universali. Dimostrando come l’heavy metal se in mano a maestri appassioanti è il genere più aperto, sperimentale e potente che ci sia ancora sulla piazza. The sun will rise, brothers!

2) The Ancestors – Invisible White
Se fossimo stati in una fase musicale che esalta le produzioni indipendenti e ne fa un portentoso affare di chilate di dollari, questo EP avrebbe avuto una fortuna strepitosa. Tre tracce così ricche di riverberi, di profonde allusioni e chiare indicazioni, da avere il peso di un full lenght… sentimenti holderliani da far tremare i polsi e intelletto post-rock-post-kraut-post-stoner. Magnifici.

3) Opeth – Heritage
Terzo posto d’onore per gli Opeth che con questo scandaloso album si sono tolti lo sfizio, che da anni attendeva di essere tolto, di fare un album come volevano loro… pardon… come voleva Mikael Akerfeldt, dimostrando la libertà totale di cui gode un artista vero, che anche contro i gusti del suo fedelissimo seguito, fa quel che prima di tutto deve a se stesso. Un album prog ricostruito come si ricostruisce in laboratorio un ambiente o un animale perduto, tutto tutto prog, dal sound seventy, alla voce nasale, dalla fuga Genesis alla cavalcata crimsoniana… non poteva essere cantato in growl… con buona pace di tutti.

4) Bill Ryder-Jones – If…
L’album dei sogni, quello cioé che ci serve come sottofondo alle nostre meditazioni che inseguono le loro ragioni e si scoprono invischiate nelle trame di un sogno più forte della vita. E a far un lavoro simile ci ha pensato un giovane chitarrista che ha scoperto la sua vocazione. Da monte Tabor.

5) Radiohead – The King of Limbs
Basta un annuncio per far inchinare fans e critica, pronti ad accorrere alla corte di York e i cavalieri della tavola rotonda. Mitici e leggendari da viventi e da lavoratori più che attivi, i Radiohead tornano con un nuovo album, breve, anzi no, brevissimo, con il gusto sadico proprio dei grandi artisti che creano dipendenza, e centellinano se stessi per non darsi via troppo rapidamente. Le loro riserve auree sembrano ancora non essersi esaurite.

6) Low – C’mon
Perché è dei profeti tornare ogni tanto a dire con la loro nota lingua cose mai superflue. E dobbiamo pure ringraziare 😉

7) Steve Wilson – Grace For Drowning
Per la serie: credo di non aver esaurito le mie intenzioni. Steve Wilson non demorde e dichiarando di aver fatto finalmente il suo primo album prog (la collaborazione con gli Opeth è come l’uovo e la gallina) realizza in effetti il suo miglior lavoro solista. Da film thriller anni ’70.

8 ) Mercury Tree – Pterodactyls
Lavoro sensazionale, almeno per le prime sei tracce, animale esotico da bestiario cyberpunk, naviga a metà strada tra un mood britannico anni ’80, soffuso e corrosivo insieme, e una vena jazz-prog dalle zampate imprevedibili, pesanti e pur agili mentre si inerpicano senza fatica in anfratti ora spigolosi, ora smussati: per chi ama il prog la prova che c’è ancora vita da scoprire, nuovi innesti da tentare, nuovi passaggi a Nord-Ovest da scoprire!

9) Other Lives – Tamer Animals /pari merito/ Ty Segall – Goodbye Bread
Pari merito per gli Other Lives che giungono calibrati e con le pallottole in canna al loro secondo album, con una capacità visionaria matura e intelligente, dilatano le lande del folk, senza manierismi e con molte ambizioni per il futuro, e per l’elfico Ty Segall che dalla sua camera da letto tra briciole, sogni e caffè ci intrattiene nel suo onirico minimalismo. Rappresentanti entrambi del migliore indie rock di quest’anno, pur differenti per biografia e per suggestioni ispiratrici.

10) Arctic Monkey – Suck It And See
Se pop deve essere che questo pop sia! Abbasso i Coldplay!

Menzione specialissima?

Grayceon – We All Destroy
Fuori classifica per mia svista personale, sono meritevoli delle prime posizioni, semplicemente perché qui c’è la migliore batteria di tutto il 2011! Un metal-folk appagante, che trova la sua quadratura, con il fascino di quel barocco che porta in sé il germe della decandenza, e per una volta una voce femminile aspra da esistenzialista francese.

(Stefania Italiano)

Collegamenti su Kalporz:
Stefania Italiano Awards 2010

7 gennaio 2012

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