BLACK JOE LEWIS & THE HONEYBEARS, “Scandalous” (Lost Highway Records, 2011)

Appena finisce “Scandalous” viene da chiedersi perché Black Joe Lewis & The Honeybears non siano annoverati fra le migliori realtà della black music anni ’60. Forse perché questi ragazzi appartengono alla nostra epoca? Ok, non ci crederete ma vi garantisco che è la sacrosanta verità. Giunti al secondo disco (il precedente “Tell’Em What Your Name” is è datato 2009) questi musicisti americani capitanati dal texano “Black” Joe Lewis riescono nell’ardua impresa di coniugare musica nera, blues e r’n’r. Un po’ come Mik Collins che con i suoi Dirtbombs non è nuovo a queste contaminazioni, anche qui la parola d’ordine è mischiare, contagiare, azzardare lasciando comunque al groove e all’energia dei pezzi l’ultima parola.

Un disco suonato divinamente che si apre riesumando James Brown nella travolgente “Livin’ in the Jungle” con i fiati e la voce graffiante di Lewis a farla da padrone. Il tempo di chiedersi che senso abbia suonare un pezzo che è al 100% Mr. Dynamite che arriva “I’m Gonna Leave You”, un blues sporco di fanghiglia che Mick Jagger avrebbe barattato al mercato nero in cambio del famoso Mars impregnato di sesso formato Faithfull. Come non menzionare poi i cori al cielo del funky/soul “Booty City”, i Blues Brothers con i parrucconi afro persi nelle strade di Detroit che ondeggiano al ritmo di “Black Snake”, il sud dell’America accecato da quella psichedelica che fece grandi i Funkadelic di Clinton nella lasciva “She’s so Scandalous” e le sponde del Mississipi che fuoriescono lasciando brandelli di blues (scuola Robert Johnson) nella ortodossa “Messin”. Fosse solo questo però; il punk è per fortuna ancora un attitudine (e codesta gente punk lo è di certo, nonostante suoni black music) e ci si lascia perciò travolgere volentieri dal garage soul di “Mustang Ranch” e ci si fa trasportare in cielo da una ballata spinta dalle trombe quale “Since I Met You Baby” che il disco è giunto al termine e si vorrebbe solo trovarseli di fronte, in qualche club, di quelli piccoli con la luce a intermittenza, per godere appieno della magia di questa musica che ancora oggi non smette di stupire ed emozionare. Il maestro Otis compiaciuto annuisce e dietro di lui muove due spinelli a mo di direttore d’orchestra Sly Stone che non crede ai suoi occhi iniettati da questo sole. Sempre più nero, sempre più moderno e sempre più funky.

78/100

(Nicola Guerra)

2 giugno 2011

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