BAUSTELLE, I Mistici dell’Occidente (Warner / Atlantic, 2010)

Hanno un bel dire Bianconi e i suoi esegeti che ne “I Mistici dell’Occidente” la mania citazionista dei Baustelle si è finalmente placata. E come la mettiamo, allora, con quel “carrozzone” di sorcina memoria piazzato già nelle prime strofe di “Indaco”, o con gli evidenti branduardismi che introducono la title track? E con quell’Huckleberry Finn che spunta dal nulla nel testo di “San Francesco” la quale (complice anche la citazione de La “Vita Violenta”) pare un adattamento per canzonetta del pasoliniano “Uccellacci e Uccellini”? Per non dire del lavoro (discreto ma costante) portato avanti sulle orchestrazioni e le atmosfere alla Morricone, o del primo singolo, “Gli Spietati”: titolo rubato ad uno dei migliori western senili di Clint Eastwood, riff ricalcato paro-paro sulla “Ma che colpa abbiamo noi” dei The Rokes – a sua volta versione italiana di “Cheryl’s going home” di Bob Lind…

No, il citazionismo c’è eccome, ed è (come sempre) uno sfoggio pop di cultura alta e bassa, che spazia dal cinema d’essai e i classici della letteratura alla musica leggera italiana tout court. E’ vero, invece, che non si tratta di un giochino fine a se stesso, cosa che, per intenderci, non era nemmeno prima. Ma se negli scorsi lavori la citazione aveva sempre un nonsochè di argutamente compiaciuto, “I Mistici dell’Occidente” ascrive tutto ad un profilo più serio, quasi serioso. “Più maturo” come scriverebbero i cronisti-esegeti di cui sopra, e non soltanto per la brillante produzione internazionale di Pat McCarthy – che riesce a sintetizzare al meglio il solito popò di arrangiamenti. E’ anche una maturità spirituale, dolorosa e a volte cinica, simile a quella che gli Afterhours post-adolescenziali mostrarono ai tempi di “Non è per sempre”. Sentirete Bianconi rimpiangere la gioventù perduta, sua e del mondo. Inviterà alla rassegnazione e richiamerà i propri discepoli ad un ascetismo da Schopenhauer: “ci salveremo disprezzando la realtà/ e questo mucchio di coglioni sparirà”. Sedete sulla riva del fiume ed aspettate.

“La Canzone della Rivoluzione” e la scapigliata “Estate Enigmistica” sono forse gli unici colpi di reni nel pessimismo cosmico generale. Ma per farsi un’idea del mood prevalente basterebbe dare un ascolto alla sola “Follonica”: quella che nemmeno tre anni fa avrebbe suonato con ogni probabilità come una canzoncina para-balneare, in questo contesto misura il passo di marcia ad una lenta elencazione degli squallori da spiaggia. E piuttosto efficace, se è vero che dal comune della cittadina toscana si sono scomodati a chiedere una “canzone di rettifica” (sic).
Al momento, però, il gruppo non sembra voler rettificare proprio nulla. Potranno cambiare i toni e le età, ma i Baustelle si confermano decisi a giocare nel ruolo del gruppo leggero che canta “pesante”: anche se questo dovesse costargli un po’ di freschezza.

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