Intervista ai My Awesome Mixtape

Intercettiamo i My Awesome Mixtape per un’intervista via mail nella seconda metà di settembre, mentre i nostri sono nel bel mezzo del loro tour europeo (sedici date in giro per Germania, Austria, Belgio, Repubblica Ceca), grazie al prodigioso intervento del nostro prode Gabriele Spadini (l’idea dell’intervista è sua!) che segue il gruppo immortalando momenti e situazioni con la sua reflex dal grilletto facile, ma anche con riprese live spesso gustose ed esilaranti (potete ammirare tutto il suo imponente lavoro visuale all’indirizzo: www.myawesomemixtape.it)

foto Gabriele Spadini

Come sta andando questa esperienza europea? È la prima volta che vi spingete oltreconfine o siete già avvezzi a questo tipo di sani sconfinamenti? Da quello che avete potuto osservare, c’è una percezione particolare dei gruppi provenienti dall’Italia da parte del pubblico straniero oppure l’approccio tende a rimanere, rispetto alla vostra nazionalità, complessivamente disinteressato e neutrale?

È bello sentire da un proprio connazionale una espressione come “sani sconfinamenti”, la cosa sempre più rara è trovare persone italiane avvezze a sconfinare; fortunatamente per quanto riguarda i My Awesome Mixtape il concetto di oltrepassare i propri spazi limitati e circoscritti è abbastanza una prerogativa; è la quarta esperienza fuori dall’Italia per noi, ed è ogni volta come la prima. Nuove facce, nuove persone, nuove culture, cosa chiedere di più?

foto Gabriele Spadini


Il vostro nuovo album ha un titolo che mi ha incuriosito non poco (“How Could A Village Turn Into A Town”) . Innanzitutto è una domanda implicita che vi ponete, oppure ha un preciso intento esplicativo che si sviluppa poi attraverso le singole canzoni?

Il titolo ricalca perfettamente l’intento concettuale di tutto il disco, ovvero mettere in correlazione elementi presenti sia nelle grandi città che in realtà più ristrette e come queste abbiano una forte influenza sull’animo umano…un altro concetto estremamente importante che si evince dal titolo è il concetto di crescita che pervade contemporaneamente sia l’ambiente urbano che la vita umana.


Dal punto di vista specificamente musicale il disco nuovo è molto sfaccettato e mi sembra di aver colto una particolare cura per la “stoffa” sonora con cui sono finemente intessuti gli sfondi e gli scenari delle canzoni, ricchi di dettagli strumentali, sfumature, personaggi, atmosfere. Ci sono degli aspetti specifici sui quali avete lavorato in sede di composizione e registrazione, soprattutto rispetto a quanto già realizzato nell’album precedente?

Bè diciamo che a differenza del precedente album questo disco è stato composto e riarrangiato da 5 menti più un elemento di eccezione, ossia Bruno Germano dei Settlefish che ha interamente seguito tutto il processo di produzione e riarrangiamento oltre che aver registrato e mixato il tutto: elemento di eccezione perché da esterno è riuscito ad incanalare perfettamente tutte le pulsioni e gli istinti musicali verso un unico e nitido andamento; ai Vacuum Studio (lo studio di Bruno) abbiamo passato davvero tantissimi mesi, da settembre agli inizi di gennaio e dunque la puntigliosa ricerca di quella che tu hai definito “stoffa sonora” era assolutamente d’obbligo.


In che misura, a vostro parere, la componente elettronica è determinante nella definizione della vostra idea di suono? E quanto lo sarà (o potrebbe esserlo) nei vostri lavori futuri?

Per How Could A Village Turn Into a Town è stata estremamente importante visto che lo scheletro portante di tutti i pezzi si dipanava proprio da quella, certo è che la sovrastruttura del riarrangiamento e del ricamo al di sopra della struttura elettronica è diventata altresì importante, chissà se per il terzo disco non si accantoni un attimo la struttura e ci si concentri interamente sulla sovrastruttura suonata?


La vostra musica è stata spesso associata da alcuni commentatori al microuniverso intricato e un po’ autoreferenziale di una adolescenza “da cameretta”, ripiegata nella cellula autosufficiente di sé stessa e in un’idea di pop domestico e “fatto in casa”, per così dire. Vi ritrovate ancora (ammesso e non concesso che vi ci siate mai ritrovati effettivamente) in una descrizione di questo tipo? Oppure la vostra musica sta (inevitabilmente) crescendo con voi? Vi chiedo questo perchè ascoltando il nuovo album ho avuto la precisa sensazione di un allargamento piuttosto netto di prospettiva, proprio come una piccolo villaggio che cresce fino a diventare un città complessa e sempre più ramificata.

L’associazione con la musica da cameretta non è del tutto sbagliata, anzi. I My Awesome Mixtape sono sicuramente nati da quel tipo di idea, l’immaginario è quello e il trattare l’adolescenza nel suo complesso sicuramente è più che evidente. Ma nel frattempo la band ha cambiato forma, sono entrate e uscite un sacco di persone dalla line up ufficiale e soprattutto i concerti tra i Italia ed Europa sono stati tantissimi. I nuovi si sono ritrovati a interpretare atmosfere e liriche pensate esclusivamente da Maolo e a doverci trovare un senso proprio. Il suono è inevitabilmente cambiato. Ecco come siamo arrivati al secondo disco. Il concerto è dove esprimiamo al meglio la nostra energia, e in un certo senso abbiamo preteso da noi stessi di registrare un po’ di quelle sensazioni su disco. Comunque tornando alla metafora del villaggio in espansione sì, la volontà è quella di crescere imparando a guardare sempre un po’ più in là.

foto Gabriele Spadini


Come è nata la collaborazione con XL (sulla cui homepage è stato messo in streaming in anteprima assoluta il vostro album)?

La collaborazione con Xl è avvenuta tutta in maniera molto naturale. Da parte loro già in passato c’era stato più di un interessamento, perciò i ragazzi che lavorano alla nostra promozione hanno potuto trovare un accordo. Cerchiamo il più possibile di instaurare rapporti di lavoro basati sulla reciproca stima.


Ho notato che siete molto interessati anche alla dimensione più specificamente “visuale” del vostro progetto, che va dall’artwork dei vostri dischi, sempre molto curato, fino al merchandising di contorno (magliette, poster, spillette, etc etc). Da cosa nasce questa particolare attenzione? Vorrei che mi parlaste anche delle nuove straordinarie t-shirt…chi è il geniale artefice?

Mettere in primo piano la dimensione visuale della musica è esagerato e non è il nostro intento ma allo stesso tempo per esempio adoro le copertine, le scelte che riguardano le foto, i poster, i colori, le magliette. Tengo a precisare che del lato fashion della musica a nessuno di noi frega un granchè. Curiamo per quello che possiamo il nostro art work e il nostro merch perché aiutano a creare un mondo che non c’è, che è quello che ci stiamo inventando con le canzoni. Sarebbe bello vedere un disco come un fumetto o un film, uno scenario in cui catapultarsi per un 40 minuti lontani dalla noia e delle solite cose. Per quanto riguarda le nostre nuove magliette oltre a quella ufficiale curata da Gold B (un giovane grafico di Bologna che ha curato tutta la grafica di “Other Houses” e di “How could a village..”) abbiamo anche un lista di magliette disegnate da fashion designer da tutto il mondo che attraverso un concorso internet si sono sfidati a colpi di bravura. Ne sono uscite magliette veramente belle!

foto Gabriele Spadini


Per concludere quali sono le vostre aspettative rispetto al nuovo disco, questa avventura europea e tutto quello che potrebbe accadervi nei prossimi mesi?

Del disco siamo molto contenti, ci auguriamo di suonarlo tanto dal vivo, di proporlo con quella dose di carica aggiunta che solo sui palchi possiamo tirare fuori. Sembra assurdo ma in questo momento siamo a Berlino quasi a metà del nostro quarto tour europeo e forse girare con la musica per mezza Europa è per ora la massima gratificazione. Noi il tour all’estero lo viviamo anche come una palestra, cambiare continuamente città e lingua ci fortifica. Ogni sera compariamo e spariamo come un circo. Speriamo di farci abbastanza le ossa e tornarcene a casa con qualcosa in più.