FUTURE OF THE LEFT, Travels With Myself And Another (4AD, 2009)

Un gruppo italiano che portasse un nome del genere dovrebbe presto rassegnarsi a suonare ballatoni malinconici e a battere lo stesso tempo di marcia funebre per buona parte degli anni a venire. Stando alle teorie di sir Falkous, invece, il “futuro della Sinistra” made in UK prenderà le mosse dal post-punk violento che fu dei McLusky e si assesterà efficacemente su coordinate post-core di rock matematico, decisamente debitrici al lavoro di Steve Albini – non tanto in qualità di produttore del disco d’esordio quanto piuttosto come musicista e primo responsabile di ragioni sociali a questa strettamente imparentate (Big Black, Shellac…).

Da secondogenito qual è, “Travels with Myself and Another” non si preoccupa particolarmente di dare un seguito al primo “Curses” ma provvede anzi a sopirne le già timide pretese arty e a riprendere invece il discorso là dove l’aveva interrotto il suo predecessore più immediato: in mezzo alle due raccolte d’inediti, infatti, era caduta inaspettata la pubblicazione di un live record dal titolo terrorifico (“Last Night I Saved her from Vampires”, 2008), magari un tantino precoce per una banda ancora fresca di formazione ma con l’innegabile pregio di saper catturare il trio gallese nell’habitat naturale del palcoscenico.

Alle anticipazioni offerte da quella scaletta si aggiungono qui una dozzina di brani della stessa pasta, asciutti, veloci e aggressivi ma mai “ignoranti”, anzi, precisi e quasi chirurgici nella propria perfidia. Tutti, nessuno escluso, richiamano a gran voce una folla alle quale poter essere urlati: e dal canto loro, il giovane seguace della band e l’aficionado dei compianti McLusky si faranno venire l’acquolina in bocca al solo pensiero dei propri beniamini che sudano sul promettente ritmo marziale di “The Hope that House Built” o di un comizio dove Faulker incoraggi a “tirare mattoni ai treni” e sbraiti che “i cattolici decrepiti sono i peggiori”. A tratti, le sue famose tirate anticapitalistiche riescono nell’insperato intento di richiamare il Zack De la Rocha dei tempi migliori. Accade soprattutto in “You need satan more than he needs you”: le coordinate geografico-stilistiche dei due restano sufficientemente lontane ma lo spirito politico che li anima è uno solo, e allora tutto torna… Il futuro per la sinistra musicale, se ce n’è uno, va atteso al varco del prossimo palcoscenico. Tour management italiani permettendo…

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